"COLORS MAGAZINE" è una rivista a diffusione mondiale che
"parla del resto del mondo".
Viene pubblicata trimestralmente in quattro edizioni bilingue (inglese
abbinato a scelta all'italiano, al francese, al tedesco o allo spagnolo).
Distribuito per la prima volta nel 1991 raggiunge ora mezzo milione di
lettori distribuiti in ogni parte del mondo.
COLORS nasce nel 1991 quando Luciano Benetton direttore e proprietario
della Benetton s.p.a. e il suo direttore creativo Oliviero Toscani decidono
di impiegare una percentuale del budget d'investimento in una rivista.
All'epoca la ragione era che la pubblicità di Toscani veniva
rifiutata da molte pubblicazioni. Desideravano quindi avere a propria disposizione
una rivista sulla quale le loro campagne pubblicitarie non avessero problemi
di pubblicazione.
Contattarono varie persone (editori, grafici, designer) per avviare
questo progetto nel `90-'91 e Tibor Kalman (che a quel tempo gestiva il
Design Studio M&co.) risultò il più capace. Egli era
stato creative director di "Interview" aveva disegnato alcuni orologi "cult"
e siglato i titoli di testa di film famosi come Il silenzio degli innocenti.
Era noto inoltre negli Stati Uniti per alcuni tra i più importanti
e famosi progetti grafici di quegli anni. Lo stesso Tibor Kalman in un'intervista
a me rilasciata afferma:
"Toscani venne a New York e mi spiegò il suo progetto di
creare una rivista internazionale edita in più lingue; non aveva
ancora in mente come avrebbe dovuto essere fatta e mi chiese di proporgli
la rivista che avrei potuto realizzare.
Essenzialmente suggerii la rivista attuale. Una rivista sul resto
del mondo. Una rivista che avrebbe potuto essere letta ovunque senza differenze
di sorta. Una rivista che cercasse di informare le persone nei luoghi di
cultura, nei paesi industrializzati, nei paesi meno sviluppati. Una rivista
che tentasse di livellare le differenze culturali, che parlasse delle differenze
della gente e delle loro somiglianze, di ciò che tutti hanno in
comune. Una rivista che rivestisse la stessa importanza tanto a Manila
quanto a Tokyo, tanto nel New Jersey quanto a Milano. Quindi una rivista
essenzialmente per giovani, perché la maggior parte dei giovani
non ha ancora le idee ben chiare sulla politica, le proprie opinioni sulla
gente bianca o di colore.
Questa idea piacque e si cominciò a lavorare a New York.
Al principio la rivista veniva allegata al catalogo Benetton e distribuito
nei negozi Benetton all'estero. Più tardi ha iniziato ad essere
venduta nelle edicole e a contenere delle pagine di pubblicità.
Ho lavorato a stretto contatto con Toscani ed ho incontrato molte
volte Luciano Benetton negli ultimi 4 anni e ad essere sincero non so dire
che tipo di relazione ho con lui. Vogliono questa rivista e io la penso
e la realizzo per loro.
Se lo fanno per vendere più maglioni? ...Non so esattamente
perché"
La rivista è rimasta negli Stati Uniti per tre anni durante
i quali sono stati prodotti 5 numeri.
Per continuare a produrre un'informazione non etnocentrica e il
più possibile sganciata da ogni convenzione e perché le idee
non diventino mai "passé" e rimangano sempre fresche e contemporanee
si decise di rendere la redazione itinerante. In questo modo si sarebbero
messe davvero tutte le culture allo stesso livello d'importanza -New York,
Roma, Parigi, Bombay, Dakar, Beijing ecc.- e si sarebbe così rispettata
logica della rivista.
Fu questo il motivo per cui la redazione si trasferì a Roma
nel 1993 e a Parigi nel 1996.
La creazione di uno staff e la scelta degli argomenti
COLORS introduce un nuovo tipo di lavoro editoriale. Lo staff fisso
di COLORS è composto da un team internazionale di ricercatori, scrittori,
redattori e fotografi, appartenenti a 29 paesi diversi. Ad esso si aggiungono
circa duecento corrispondenti che collaborano episodicamente sulla base
dei compiti loro assegnati dalla redazione centrale.
Il team che si è venuto costituendosi sembra molto simile
a quello di una agenzia pubblicitaria. Quando chiesi al Sig. Kalman se
intendeva usare la strategia pubblicitaria per la produzione della sua
rivista egli mi rispose:
"Si, la risposta è si perché quello che facciamo a
COLORS è utilizzare le tecniche della pubblicità, del disegno
grafico, dell'art direction, tecniche il cui obiettivo è la vendita
dei prodotti. Noi applichiamo le stesse tecniche per la commercializzazione
delle idee. Questa è una grande differenza, nessun altro lo fa.
E penso che sia proprio questa la cosa più innovativa del nostro
modo di comunicare. Noi scriviamo, progettiamo, gestiamo la comunicazione
grafica esattamente come un'agenzia di pubblicità. Le persone lavorano
in team e non si può parlare di un vero e proprio autore."
Jean Baudrillard che in una serie di scritti dedicati alla pubblicità
introduce il concetto di informazione come merce. Di una merce che deve
sedurre i consumatori, spettacolarizzando in misura crescente la sua immagine
nella comunicazione pubblicitaria, attraverso un arricchimento del suo
contenuto estetico e un impoverimento conseguente del suo contenuto referenziale.
Il tema del numero viene deciso dal direttore editoriale in collaborazione
con l'intero staff durante il primo dei vari brain storming. In realtà
esiste una rosa di temi già predefiniti che sono stati scelti all'epoca
della costituzione della rivista.
La caratteristica fondamentale dei temi, che sono il filo conduttore
di ogni numero, consiste nel fatto che devono essere argomenti di interesse
generale. Abbastanza vaghi per poter attirare l'attenzione e la curiosità
di chiunque e abbastanza precisi per essere sufficientemente vicini agli
intimi bisogni di informazione su quel determinato argomento, per suscitare
nel lettore la sensazione che l'argomento di cui si parla sia molto vicino
a lui. Per questo si usano argomenti come il sesso, l'AIDS, la questione
razziale, le differenze culturali, perché sono temi forti e diretti
che colgono l'attenzione del lettore in modo immediato.
La scelta delle singole storie all'interno del medesimo tema è
nuovamente fonte di una decisione collegiale: ogni membro della redazione
è latore di proposte e nuove idee.
Definito il tema, il settore della ricerca è il primo ad
attivarsi. Grazie ad indagini approfondite e capillari già nell'arco
della prima settimana si intuisce se il materiale a disposizione è
sufficiente all'avvio delle storie definite in precedenza.
Tali storie vengono scelte in base a degli oggetti o argomenti,
presi come punto di riferimento; ad esempio nel numero 12 "Heaven" di cui
parlerò diffusamente più avanti si individuano dei soggetti-oggetti
che diventano il punto di riferimento per ogni storia.
home
meal
insects
monument
excercise
best shape
jail
passport
tool
toy
country
virus
health
store
homeopathic drug
pharm drug
street
sport
weapon
war
political system
movie
farming
ecology
etc...
Dalla scheda aggiornata al 14 marzo 1995 gli argomenti, che hanno
superato le prime selezioni risultano quasi dimezzati.
Ogni ricercatore si incarica di compiere la prima stesura del report,
solo in seguito si selezioneranno le storie più interessanti e riuscite,
che verranno pubblicate. In genere la selezione è molto alta, ed
è per questo che si comincia con un alto numero di storie potenziali.
La ricerca si muove su diversi fronti: interviste telefoniche, lettura
accurata di libri e riviste internazionali, ricerche sulla rete attraverso
l'uso di programmi di ricerca come World Wide Web, Lexis-Nexis ... . Non
si può parlare di un'area geografica di riferimento in quanto la
ricerca prescinde da qualsiasi "restrizione spaziale".
Il mondo intero è soggetto di ricerca. In questa fase ci
si avvale della collaborazione dei corrispondenti cui vengono assegnati
diversi compiti (reperimento di materiale in loco, intervista a persone
di diversa provenienza ...).
Il reparto della fotografia si attiva in un secondo tempo rispetto
alla ricerca. Vengono ricercate le prime fotografie di carattere generale
e successivamente si procede al recupero delle immagini più specifiche.
Solo allora il dipartimento ricerca e quello fotografia lavorano parallelamente.
Più ci si addentra nella ricerca più il campo di scelta delle
varie immagini fotografiche si restringe. Mediamente per ogni numero vengono
visionate dalle 8000 alle 10.000 fotografie e vengono scattati 4-5 servizi
fotografici. I punti nevralgici della ricerca delle immagini sono Milano,
Parigi e soprattutto New York, che sono i luoghi dove risiedono le agenzie
fotografiche più fornite del mondo.
In quest'arco di tempo richiesto per la visione del materiale fotografico
i grafici e gli scrittori visionano i progressi degli altri settori ed
iniziano a lavorare sull'impaginazione (i primi) e sugli articoli (i secondi).
Tutto questo processo é scandito da frequenti e regolari meeting
necessari ad un aperto confronto sul lavoro in corso. Ognuno ha voce in
capitolo.
La tempistica è di difficile definizione in quanto le diverse
storie vengono condotte in parallelo ed il lavoro dei diversi settori si
sovrappone incrociandosi. Nell'insieme, comunque, un numero richiede due
mesi di preparazione. Un terzo è necessario per la stampa, la traduzione
e la distribuzione.
A titolo di esemplificazione riporto qui la ricerca condotta
per il numero 12 "Heaven", settembre-novembre 1995 a cui ho potuto partecipare
come stagista.
Durante il primo meeting in cui si era discusso come trattare l'argomento
"Heaven", quali storie raccontare e che tipo di informazioni cercare erano
emersi vari obiettivi.
Uno dei principali obiettivi che ci si era posti era dimostrare
come il paradiso fosse un concetto universalmente riconosciuto, un'altra
delle caratteristiche che ci rendono simili con le nostre diversità.
Nel marketing delle religioni soprattutto, il paradiso era un ottimo incentivo
alle vendite, in quanto attirava seguaci, distogliendoli dai loro problemi
quotidiani e premiando il comportamento che più faceva comodo ai
leader terreni. L'idea era quella di parlare di un argomento su cui tutti
avessero qualcosa da dire, e attraverso la nostra rete di informazioni
far dire a chiunque la propria idea sul paradiso.
Le nostre riflessioni sono poi diventate il testo dell'editoriale.
Ci siamo resi conto che cristiani e musulmani, che insieme costituiscono
circa la metà della popolazione del nostro pianeta, considerano
il paradiso un luogo di ricchezza; un posto, per esempio, dove c'è
sempre cibo a sufficienza. Qui sulla terra, infatti, poco meno della metà
della popolazione soffre ogni giorno per scarsità di cibo e di risorse.
Quindi, secondo gli standard dei bisognosi, la metà della popolazione
che mangia regolarmente potrebbe già aver trovato il paradiso in
terra. Ma la gente i cui bisogni basilari sono già soddisfatti tende
a volere sempre di più. Da qui non era difficile intuire come la
pubblicità fosse la leva dei nostri bisogni costruiti.
Chi è abbastanza ricco da possedere un televisore viene esposto
ogni giorno a immagini ultraterrene di prodotti scintillanti e stili di
vita da miliardari. Alla fine i nostri standard di benessere sono dettati
da cose poco funzionali (auto, accessori costosi) e da persone poco reali
(come le celebrità).
Molte persone con le quali abbiamo parlato preparando questo numero,
avevano idee seducenti riguardo al paradiso terrestre: isole tropicali,
partner sessuali bellissimi, molti soldi e tempo libero. Ma quello che
la gente ci descriveva, piuttosto che un luogo terreno, sembrava la terra
promessa proposta dalla pubblicità (una donna greca ci ha detto
esplicitamente che per lei il paradiso terrestre era una spiaggia apparsa
nello spot del rum Bacardi).
Abbiamo cominciato a pensare che forse la gente ha abbandonato una
forma di fantasia (il concetto religioso della vita dopo la morte) per
un'altra (il concetto pubblicitario di una vita migliore).
I buddisti ritengono che una persona raggiunga il paradiso, o nirvana,
quando annulla ogni desiderio. Arrivare al nirvana significa liberarsi
da tutte le sofferenze provocate dal desiderio.
A volte sembra che potremmo essere molto più felici se imparassimo
a ridimensionare un po' i nostri desideri e ad apprezzare quello che già
abbiamo, come il nostro pianeta. Qui c'è abbastanza cibo per tutti,
una quantità di energia non inquinante sufficiente per altri cinque
miliardi di anni, aria pulita e natura incontaminata: la materia prima
per creare il paradiso in terra esiste già. La sfida è quella
di usare il cervello e tutti i nuovi mezzi di comunicazione per risolvere
i problemi mondiali di distribuzione, spreco e ignoranza.
Alla fine, abbiamo dedicato gran parte di questo numero di COLORS
proprio a quelle risorse, sempre abbondanti, che rendono il paradiso una
possibilità effettiva qui sulla terra. Risorse come il sole, l'acqua,
riso e fagioli, per non parlare dell'orgasmo: cose concrete, durevoli e
naturali che sono, o dovrebbero essere, alla portata di tutti.
Il vero scopo della pubblicità è quello di creare
nuovi bisogni e desideri. Per riuscirci, deve farci apparire insufficienti
o superatele cose che già abbiamo. Perché dissetarsi con
l'acqua se si può bere una Coca-Cola? Perché asciugare i
panni al vento se li si può ficcare in un elettrodomestico?
A pensarci bene, le pubblicità promuovono cose che costano
in alternativa a cose che si possono avere gratis: ammorbidenti per i panni
con profumo fresco al posto dell'aria fresca, caramelle alla frutta invece
della frutta, macchine di lusso invece delle gambe, deodoranti al posto
dell'aria pulita. Le risorse paradisiache del mondo hanno pochissime chance
di vincere contro le ossessive tattiche pubblicitarie dei loro rivali commerciali.
Quindi, abbiamo pensato a questo numero di COLORS come a una pubblicità
per delle idee che altrimenti non riuscirebbero ad attirare molta attenzione.
E come le pubblicità abbiamo usato grandi immagini e le poche parole
che bastano per colpire nel segno.
Abbiamo cercato di attirare l'attenzione ed essere persuasivi, con
uno stile spiritoso. Questo perché la pubblicità è
il mezzo più efficace per trasmettere idee in modo diretto e al
maggior numero di persone. La pubblicità è qualcosa che si
riconosce subito. Emerge in modo chiaro come l'informazione di base subisca
una vera e propria evoluzione. Il punto di vista muta continuamente e la
redazione è disposta a rielaborare continuamente il materiale a
disposizione per adattarlo alle esigenze della comunicazione. Non si tratta
di contraffazione o manipolazione, ovviamente, ma di uno sforzo di andare
altre al messaggio canonico, di fare in modo che quel messaggio comunichi
qualcosa di davvero utile, diretto, concreto.
A questo punto può essere utile analizzare come una singola
storia viene elaborata.
"Bicycle" era una delle storie emerse durante il primo brain storming.
La ricerca era stata affidata a me e alla ricercatrice Olga Harrington
ed era iniziata attraverso una griglia di domande a cui dovevo rispondere.
In genere ogni ricercatore aveva piena libertà su come iniziare
la ricerca ma mi era stata data una serie di domande che avrebbero in seguito
dovuto suggerire ulteriori approfondimenti, per indirizzare le mie ricerche
su argomenti che potevano interessarli e per aiutarmi nel compiere il mio
primo report.
Tutta la ricerca viene condotta in inglese, lingua internazionale
che viene utilizzata per semplificare la comunicazione anche tra i membri
della redazione, provenienti da ogni parte del mondo.
Ecco le domande che mi erano state sottoposte e le prime risposte
che ero riuscita a trovare dopo alcune ore di ricerca .
-How many and which ones are the muscles encharge of pedale?
Per rispondere a questa domanda ero andata ad intervistare il direttore
del Centro Ricerche di Medicina dello Sport di Roma , il quale, pur nel
darmi delle risposte molto tecniche e esaudienti non era riuscito a soddisfare
la mia necessità di ottenere informazioni curiose o particolari
divertenti. La risposta era:
It depends: you need a different number of muscles, if you are a
profesional ciclyst you can use less muscles because your body try to safe
energy. For this reason if you are able to use the less muscles you can
you will be able to go ciclying for hours and hours.
The basic muscles that you have to use anyway are:
little and big gluteal
femoral quadriceps (extensor)
tricipes
back muscles
trasversal muscles
-How much is the cost to fix the bicycle?
It can costs 50000/70000 lire for a years, if you are lucky. Twenty
times less than cars!
Fast gonfia e ripara: aerosol bomb big like a tin of coke (£.
5000)full of compressed air, if you get a puncture you stop for a copple
of mminute and blow up the tyre, you will be ready to live again.
-Why bicycle is the perfect transport for people?
It is a way to do sport without wrestle against the opposite team...
you can do it in your free time but also going work or doing arrands, it
is time-saving. you can use you bici in a beautiful green park, you dont
need to have a place to play, simply you can choose places or streets you
prefer.
It is a relaxing sport because ciclyst distributes all his weight
on 5 points:
pedals (2)
saddle
handles (2)
so in theory is is less tiring than walking
-How fast is bicycle?
Velocity of a walking man is 6,4 km in a hour
Velocity of a man on a bicycle in a straight road 30-35 km in hour.
Why the bicylce is 5 times faster than the velocity of a human been?
Because the circolar motion is more efficient than alternate motion.
In every step you have to lift your barycentre, the ciclyst's position
is always the same and it is an ancestral position.
-Is bicycle good for every age?
You can loose weight doing ciclyng but do not think that if you
go working every days by bicycle you can eat 10 kilo of chips!!
Il consumo calorico è di 6-18 kilocaloria per kilo e per
ora, quindi un uomo di 70 kg. consuma 600 kilocalorie all'ora andando in
bicicletta a 20 km/ora (più o meno l'equivalente di un panino al
formaggio) So bicycle is absolutly for every age.
- What about noise pollution?
limite consentito in:
ambiente aperto 60-65 decibel
traffico moderato 72-73 decibel
traffico intenso e cautico 76-77 decibel
ambiente urbano: fino a 60 decibel
The truth is that if you spend one hour a day in a disco your ear
will be more in danger than 50 hours on the street.
Dati della Lega Ambiente su rumore:
Torino: giorno 70-75, notte 66-69
Milano: giorno 70-76, notte 69-74
Roma: giorno 63-76, notte 56-70
Palermo: giorno 73-76, notte 65-72
-Is it good to throught the town by bicycle?
A research work into policemen's lung shows that the most important
problem they had was gives rise to the number of smoked sigarets, not breathed
air!! Consumption of oxigen
normal breathe: 6-10 liter of air/second
ciclying breathe: 35-40 liter of air/second, 40-45 if out of breath
profesional ciclying breathe: 100-150 liter of air/second
-There are a lot of people who use bicycle to work.
mailman, taxi-bici, ponyexpress, milkman, baker, the man who sell
the glass, policeman, arrotino, spazzino, (....)
-What about the parking?
bicycle: width 58 cm, length 169 cm
car Y10: width 148 cm, length 335 cm
motorbike: width 71 cm, length 168 cm
Bicycles do not need almost 10 cm space between each parking.
-Accidents: is it dangerous to go by bicycle, compared with
others transports?
dati ISTAT 1993
bici coinvolte in incidenti: 8535
auto coinvolte in incidenti:157128
incidenti tra biciclette: 91
incidenti tra bici e moto: 792
pedoni infortunati a causa di incidenti con bici: morti 1, feriti
115
pedoni infortunati a causa di incidenti con auto: morti 583, feriti
7824
Si tratta di domande molto diverse che hanno in comune un'unica
caratteristica: la curiosità.
Dietro a queste domande c'è infatti la necessità di
produrre un tipo di informazione nuova, utile, facilmente consultabile,
spiritosa e curiosa ma allo stesso tempo proveniente da fonti sicure.
Infatti da un primo riscontro di risposte vengono analizzate più
da vicino quelle più particolari e trattate in un secondo report.
Infatti a proposito dei vantaggi che l'uso della bicicletta comporta, nel
report finale compare un ulteriore sviluppo della mia ricerca:
"MIRACOLOSA La bicicletta può migliorare le prestazioni del corpo del 657%. Per riuscire a camminare a una velocità di 6,4 chilometri all'ora, l'organismo ha bisogno di un apporto calorico pari a 55,3 calorie per ogni chilometro. Grazie all'energie che può essere fornita da un piatto di riso e fagioli, puoi camminare per 7,5 chilometri... ma volendo può riuscire a pedalare per 49,3 chilometri."
Per quanto riguarda invece la scelta di informazioni curiose che possono suscitare l'interesse del pubblico per la loro particolarità più che per il loro potere informativo, l'articolo finale riporta:
"VERSATILE Le biciclette vengono usate come ambulanze in Malawi (le barelle vengono mese su dei rimorchi), per trasportare passeggeri in India, per cosegnare la posta in Danimarca, per alimentare le idovore nelle risaie cinesi.. e persino per sostituire le macchine della polizia negli Stati Uniti."
Nella pagina seguente è possibile consultare la versione finale dell'articolo, in italiano e inglese, come compare a pag. 18 e 19 del numero "Heaven".
La rivista si rivolge ad un pubblico giovane. Il target di riferimento
è 20 anni. In una intervista rilasciata l'8 marzo 1995 al quotidiano
spagnolo "La Vanguardia", il Sig. Kalman parla della sua rivista mondiale.
"...Anticipiamo - commenta Kalman- la fine dei nazionalismi come
modo di definire l'identità di un paese. Se chiedete a un giovane
che cos'è, vi dirà `studentè, `gay' o `fan di Madonna',
sicuramente mille altre cose prima di dirvi `giapponesè, per esempio..."
e in "Global Alphabet Blocks" , il progetto curato da "M&Co.Labs"
afferma ancora:
"...the mission of COLORS is to create global transnational connections
among (spiritually) young people around the world - people who no longer
consider themselves as being Chinese or Australian or Senegalese but a
cross between the old (pre 1968) "LIFE" (in visual/photographic story presentation),
London's "THE FACE" (for social context) and "NATIONAL GEOGRAPHIC" on acid
(for content)."
A parte la collocazione sul mercato, Tibor Kalman, in una successiva
intervista rilasciata ad un periodico inglese afferma:
"COLORS is a magazine about an idea. That idea is very simple.
Diversity is good: we borrowed this from Benetton's advertising policy.
We do not consider this magazine as advertising, but as a statement about
the things that Benetton believe in. Advertising is less and less about
the quality of specific products. It is about an image. It is about an
idea that a company tries to sell. If you buy the idea, you will also buy
the products. Of course I hope that the readers of COLORS will also buy
Benetton's sweaters. The money can be reinvested in the magazine. Besides
one of the responsabilities of the magazine and the readers is to remind
Benetton of the claims of its own advertising.
COLORS tries to balance the relationship between the business
world and life. I know that Benetton's policy is considered provocative.
Some of my colleagues askme with foam on their lips `How can you be so
naif to make a magazine sponsored by a knit-wear-factory?' I challenge
them to explain me the difference between Benetton ad Time Inc. The former
is not worse than the latter. There is actuallyan advantage: Benetton never
riveses texts and does not intervene if we put a penis in COLORS..."
e ancora:
"Si tratta di una rivista sul potere delle immagini; una rivista
dell'era televisiva. È forse la prima che possa definirsi globale
da quando Mc Luhan ha ipotizzato il villaggio globale.
Non parlo di "Time" o "Newsweek", ma di un mezzo attraverso il quale
i giovani possano confrontare le proprie idee con quelle dei giovani di
altri paesi". Le riviste dirette da redattori sono solo un incidente storico,
dovuto al fatto che la scrittura si è sviluppata molto rapidamente.
Noi utilizziamo invece le immagini per spiegare i fatti. Redattori e grafici
lavorano insieme, traducendo i messaggi in immagini, come avviene nelle
agenzie di pubblicità."
Anche la rivista "Mediamatica" (n. 7, "The Right Art" tradotto da
Jim Boekbinder) registra questo fenomeno per cui le arti visive prendono
in prestito il linguaggio della pubblicità:
"...essa era una delle più grandi arti del ventesimo secolo,
ma ci sono molti indicatori della sua fine, ad esempio le arti visive/visuali
stanno cominciando a utilizzare gli strumenti della pubblicità (...)
le arti visuali rendono i nuovi media vecchi, perché la visual art
può lavorare anche con media vecchi."
Inoltre nello stesso articolo viene citato in particolare il caso
Benetton mettendo in evidenza un altro fattore fondamentale della relazione
tra pubblicità e nuovi modi di comunicare:
"...Benetton ha completamente smesso di mostrare i suoi prodotti
nella pubblicità. C'è ancora una vaga referenza ai colori
ma questi hanno sempre meno a che vedere con l'immagine della pubblicità.
Nella campagna pubblicitaria Benetton viene usata la foto documentaristica
a scopo pubblicitario. Questo ci insegna tre tendenze fondamentali: la
generazione di consumatori tra i 10 e i 18 anni conosce la realtà
dei media solo nella sua forma ibrida di fatti fittizi e fatti supportati
dalla fiction; è difficile riconoscere la pubblicità dall'informazione,
basta guardare un computer magazine per rendersene conto; la pubblicità
si concentra su topics importanti che non sono utilizzati, presi dalla
politica: aids, sovrappopolazione, xenofobia, diventando pubblicità
socialmente impegnata. Il design ha sempre esteso la pubblicità
nel prodotto, arrivando alla coscienza del lettore."
Dick Hebdige, docente di Comunicazione Visiva presso il West Midlands
College di Londra, durante una conferenza sulla grafica delle riviste afferma:
"Nel mondo pagano e postmoderno in cui vivono oggi i miei studenti
"The Face" sembra svolgere una funzione analoga a quella che per duemila
anni ha svolto la Bibbia che, secondo una definizione di William Blake
ha agito come il `Grande Codice dell'Arte' della cultura occidentale, fornendo
ad artisti e scrittori non soltanto una fertile materia di miti e metafore,
ma anche le categorie epistemologiche fondamentali, le forme basilari di
classificazione e tipologia che strutturano il pensiero occidentale..."
Entrambi questi interventi suggeriscono a mio parere come l'ordinamento
gerarchico di parola e immagine sia stato abolito. La verità, per
quanto possa esistere, è in primo luogo e soprattutto raffigurata:
incarnata in immagini che hano potere ed effetti propri.
Le parole sono opache (speculative) imitazioni della realtà
originale che è direttamente percepibile attraverso l'imitazione
della realtà origininale che è direttamente percepibile attraverso
l'immagine.Quella realtà è sottile quanto la carta su cui
è stampata. Non vi è nulla nascosto sotto o dietro l'immagine,
e dunque non vi è alcuna verità nascosta da rivelare. La
funzione del linguaggio è di coadiuvare l'immagine descrivendo l'istante
che essa incarna, al fine di porre l'immagine in gioco qui e ora. La funzione
del linguaggio non è di spiegare l'origine, le funzioni o gli effetti
dell'immagine, nè tantomeno il/i significato/i. Ancora Dick Hebdige
afferma a proposito della rivista "The Face":
"...tutte le affermazioni contenute nella rivista, benchè
necessariamente succinte, non sono mai esplicite. Predominano l'ironia
e l'ambiguità, che incorniciano tutte le espressioni riferite, sia
attraverso il testo sia attraverso le immagini. Viene in tal modo costruito
un linguaggio senza soggetto. Laddove opinioni vengono espresse è
in forma iperbolica, in modo da suscitare la domanda su quanto siano da
prendere sul serio. Così l'impressione che si ricava sfogliando
la rivista non è tanto quella di un "organo di opinione" quanto
quella di un armadio pieno di vestiti (indumenti, idee, valori, scelte
individuali, vale a dire significati)".
Se dunque il target di riferimento è giovane, non c'è
il rischio che si cerchino tra le pagine della rivista gli stessi cardini
di comunicazione televisivi?
Daltronde è l'ultima generazione quella più bombardata
dallo spot, quella che è cresciuta più a contatto con il
linguaggio delle immagini e che ha più o meno imparato a fare i
conti con l'immediatezza, l'emozionalità, la persuasione e la seduzione
di questo linguaggio.
"...è molto difficile trovare programmi televisivi che trattano
la realtà del mondo da un punto di vista globale con immagini suggestive
e testi intelligenti. I programmi televisivi comunque devono stare attenti
all'ideologia dei loro sponsor, ai capi delle reti televisive per cui lavorano,
devono sempre assolutamente vendere un prodotto (che diventa sempre un
compromesso) e vivono della pubblicità venduta.
Noi di COLORS no.
Non dobbiamo accettare compromessi e siamo fortunati perché
la Benetton decide di stanziare un budget per la rivista senza interferire
assolutamente nella creatività.
Siamo completamente liberi e per questo più veri..."
Ho chiesto nella mia intervista a Tibor Kalman quale era la sua
presa di posizione nei riguardi della televisione.
"La rivista "LIFE" ha chiuso a causa della televisione. Veniva distribuito
in 6/7 milioni di copie. Inoltre, sebbene siano molti i libri e le riviste
vendute poche sono effettivamente lette.
I giovani, si sa, guardano molta televisione, quindi quello che
dobbiamo fare è adattare le riviste all'era della TV.
Se guardi questa sedia, ebbene 200 anni fa era la stessa, ma prova
a guardare il resto del mondo 20 anni fa ed oggi.
Qual' è il motivo che spinge una rivista a non innovarsi,
(lo stesso si può dire per i media e per l'informazione)?
Mi sorprendo di come le riviste ed i giornali non si siano evoluti
più rapidamente di quanto è avvenuto nella realtà.
Credo che si parli molto dei media, ma in realtà la loro
evoluzione è molto lenta. E ogni volta che qualcosa si evolve, le
persone hanno grosse difficoltà ad accettarlo.
C'è una grande cautela. Se hai letto quell'inserto americano
"USA TODAY" ti sarai accorta che è moderno, ha una grafica completamente
ridisegnata. Non è molto buono ma... almeno hanno ridisegnata la
grafica.
...Ritengo che il motivo per cui in COLORS ci sono molte immagini
è che viene distribuito nel mondo intero. E` l'unica rivista che
cerca di interessare i giovani del mondo.
Quando scrivono un articolo su "KING" parlano di qualcosa che sta
succedendo in Italia o di qualche modella o di qualcuno in N.Y che riveste
una certa importanza per il pubblico italiano che legge questa rivista.
Quando noi pensiamo ad una storia, deve poter interessare un sedicenne
di Beijing che parla inglese, francese o tedesco e che deve essere messo
in grado di capire la storia. Quindi lasciamo questa rete informativa incredibilmente
larga. Cerchiamo di farci capire.
Non sto facendo una rivista per intellettuali della scuola d'arte.
Sto facendo una rivista per un bambino di 16 anni a Beijing perché
quelle sono le persone che non hanno ancora le idee chiare. COLORS ha una
fascia d'età, un target ben specifico, è fatto per gli studenti."
La qualità dei prodotti della comunicazione è un problema
che coinvolge anche il mercato italiano. Infatti cosiddetti programmi televisivi
di qualità hanno dei problemi di palinsesto ovvero vengono relegati
alla quarta serata. Gianni Minà in un'intervista ammette di non
disdegnare questa ubicazione nel palinsesto e anzi di gradire la sfida
alla fase Rem dei telespettatori.
"...non abbiamo obblighi di auditel e di format e puoi tentare qualcosa
di originale. Certo se prima del tuo programma c'è Magalli in pigiama
il messaggio è chiaro: è ora di dormire!!....
Quanto ai soldi la verità è che spesso di programmi
di qualità costano poco. Basta avere l'occasione di vedere il programma
di Paolo Calcagno "La TV che non c'è": una struggente carrellata
di prodotti intelligenti, osannati dalle giurie di festival tv ma tenuti
ben lontani dai palinsesti."
Gli obiettivi della comunicazione
Un assunto sul quale è opportuno ragionare è: qual'è
l'obiettivo comunicativo che COLORS si prefigge?
Osservando i vari numeri della rivista e analizzandola nei suoi
particolari grafici e di impaginazione balza agli occhi un fattore determinante
che differenzia COLORS da tutte, a mio parere, le pubblicazioni presenti
sul mercato. La presenza massiccia di materiale fotografico.
Ho chiesto al Sig. Kalman: Il layout di COLORS è chiaramente
il risultato di una scelta, di una strategia.
In base a quale riflessione avete scelto di comunicare attraverso
le immagini? Credete che le immagini possano veicolare più facilmente
determinati contenuti o che siano più adattabili al pubblico attuale?
"Non penso che le foto comunichino di più è solo che
comunicano piu` facilmente; le foto non devono essere tradotte. Il problema
è che ci sono dei temi che non puoi trattare solo con l'uso delle
foto e altri argomenti per i quali il testo non è il mezzo più
adatto. Poi ci sono tutta una serie di temi che richiedono assolutamente
l'uso del suono o del movimento. Una rivista e` una scelta di una serie
di sensi.
Alle volte mi sento frustrato perché non possiamo fare niente
con la musica. Perché non si può fare un programma radiofonico
sull`arte o non si puo` fare un articolo sulla musica.
E` ridicolo, non capisco a cosa servano tutte queste riviste di
musica. Non voglio leggere un articolo su di un gruppo musicale, voglio
ascoltarlo!!. Per questo usiamo le immagini, per mostrare il mondo, non
per parlarne, come se fosse un vecchio libro di scuola; ed è anche
per questo che cerchiamo di usare un design il meno aggressivo possibile.
Non troverai molti effetti speciali di tipographic design, tutto
è abbastanza diretto e semplice.
Criticano molto COLORS perche` non e` una rivista con un design
trendy. E molte persone mi hanno detto che i giovani non l'apprezzano perché
non e` sufficientemente trendy, di moda. Questa e` una critica frequente
ma io non ho mai avuto fiducia nelle riviste e negli altri mezzi di comunicazione
che hanno un design aggressivo, perchè mi è sempre sembrato
che nascondesse la mancanza di informazione.
Prendi per esempio una rivista come "RAY GUN": non c'e` niente,
non ci sono immagini, non c'e` testo. Ma creano molto rumore perche`sono
trendy.. Poi quando ti fermi a guardarla veramente, quando la leggi, ti
accorgi che non contiene informazione.
La verità è che ho sempre sperato di essere all'inizio
o alla fine di un ciclo in cui il design aggressivo sarebbe stato rifiutato
dagli individui che pagano per avere l'informazione."
Credo che esistano dei veri e propri percorsi di lettura dell'immagine
rispetto al testo.
Se tentiamo di risalire alle nostre origini e a focalizzare l'attenzione
su come noi stessi abbiamo acquisito la capacità di leggere di rendiamo
conto che ci hanno insegnato a leggere fin da piccoli, forse ancora prima
di imparare a scrivere, e si sono affannati a farci capire che si poteva
leggere in un solo modo, da sinistra a destra, dall'alto al basso.
Per quanto riguarda le immagini "ci è stata data" l'opportunità
di decodificare in più modi, apprezzando l'estetica dell'immagine
o il suo significato o ciò a cui rimandava.
Probabilmente questo è dovuto al fatto che si tende ad accostare
l'immagine ad un tipo di ricezione infantile; i bambini che non sanno leggere
possono imparare guardando le figure e ciò significa che gli adulti
possono farne a meno perchè tutte le informazioni di cui hanno bisogno
sono contenute nel testo.
L'educazione all'immagine, infatti, è lasciata largamente
al caso e l'arte o la percezione di essa non viene vissuta come uno strumento
didattico e educativo.
Rudolf Arnheim ne "Il pensiero visivo" (1969), spiega come le illustrazioni
possono insegnare e afferma:
"...Quando la mente opera al modo della scienziato, cerca l'unica
immagine corretta che si cela fra i fenomeni dell'esperienza. L'educazione
deve superare il vuoto tra la complessità sconcertante dell'osservazione
primaria, e la semplicità relativa dell'immagine che ha valore.
Per le finalità della scienza, l'educazione deve fare precisamente
ciò che è necessario evitare nel'insegnamento dell'arte,
e precisamente offrire una versione sufficientemente semplice di quell'immagine
finale, ogni volta che ci si può attendere che l'allievo la discerna
da sé nell'intricata apparenza delle cose reali..."
Il concetto che egli vuole esprimere è che la disciplina
della visione intelligente non più limitarsi agli studi degli artisti
e tantomeno l'uso dei cosiddetti sussidi visivi non può garantire
in se stesso una condizione sufficientemente favorevole al pensiero visuale.
Lawrence K. Frank ha accusato tali mezzi di essere, come implica
la parola, "considerati puramente sussidiari rispetto all'apparentemente
fondamentale comunicazione verbale, alle rappresentazioni tradizionali
parlate o scritte.
Normalmente gli ausili visivi sono semplicemente questo: illustrazioni,
poiché si ritiene che le parole siano la modalità fondamentale
della comunicazione" . La pura presentazione, mediante fotografie, disegni,
modelli o esibizioni concrete, delle cose da studiare, non garantisce che
si colga profondamente l'argomento.
Più avanti osserva:
L'unità fra percezione e pensiero, che ho cercato di dimostrare,
suggerisce che l'intendimento intelligente ha luogo entro il dominio dell'immagine
in se stessa, ma soltanto se essa è configurata in modo tale da
interpretare visivamente gli elementi importanti.
L'uso delle immagini sembra dunque essere il cardine da cui partire
per analizzare gli obiettivi della comunicazione.
Bisogna tenere presente però che l'approccio ricettivo ad
una immagine procede per rapidi gradi. A partire dal livello percettivo,
attraverso i processi di riconoscimento e di attribuzione di senso da parte
del fruitore, fino alla valutazione e alla memorizzazione dei significati,
la differenza del messaggio grafico-fotografico rispetto al testo risiede
nelle caratteristiche di fruizione dell'oggetto iconico, destinato alla
lettura e alla comprensione in tempi infinitamente più brevi di
quelli richiesti per altre categorie di testi.
Ma chiediamo alla redazione cosa ne pensa di questo assunto. Le
immagini comunicano davvero in modo diretto e immediato?
Sono in grado di sfruttare la pregnanza e la pertinenza dei segni
che le compongono?
E, non c'è forse da considerare il fatto che un'immagine
può trasmettere anche un messaggio "sbagliato" o interpretabile
in modo non corretto?
"Anche le parole possono mentire. Personalmente sono piu` interessato
a come le immagini possono comunicare.
Quando osservi qualcosa, testo o immagini... la domanda che ti devi
porre è: qual'è la differenza di qualità tra questi
due mezzi di comunicazione?.
Credo che ci siano stati piu` esperimenti con le parole che con
le immagini. Nella storia si è discusso molto di più di quanto
si sia osservato e questo perché i fotografi, i filosofi ed i professori
di comunicazione hanno bisogno di parole per descrivere cosa fanno le immagini.
Credo che conosciamo piu` le parole che le immagini..."
Una constatazione piuttosto sgradevole, consiste nella consapevolezza
che l'analisi semiotica dell'immagine fotografica e in generale di tutte
le forme di comunicazione non verbale, è pesantemente condizionata
dalla necessità di utilizzare codici ad essa estranei quali, in
primo luogo, i codici. Di qui il disagio derivante dall'inadeguatezza del
linguaggio, non sempre in grado di cogliere la specificità di significati
non verbali; di qui il forte disturbo derivante dall'obbligo di intraprendere
un discorso verbale in quanto unico mezzo per esplicitare l'analisi.
C'è poi da considerare il problema dell'arbitrarietà
nella riproduzione del reale.
Non vi è alcun dubbio che se neghiamo alla fotografia questa
sorta di ambiguità considerandola come mera riproduzione del reale
le neghiamo di conseguenza ogni valore di segno. Già al suo nascere
essa si era vista investita di questo pesante fardello, tanto da permettere
agli storici dell'arte di evidenziare quanto l'avvento della fotografia
avesse liberato la pittura dall'obbligo di riprodurre la realtà,
lasciandole facoltà di esplorare nuove possibilità espressive,
fino alla negazione stessa dell'intenzionalità del segno (arte gestuale).
"...Perché la scrittura è più avanti rispetto
alla picture making?
Perché hanno inventato la macchina da scrivere prima del
software digitale?
E` un caso che abbiano inventato una macchina fotografica?
Indubbiamente la lingua ha un uso piu` immediato.
Voglio dire, puoi scrivere cosa e` successo in questa stanza, ma
pensa se dovessi disegnare!!
Quindi, credo che sia una domanda interessante. Sono interessato
all'esperimento.
Vorrei scoprire il motivo per cui non possiamo fare una rivista
senza parole. Credo che non si possa, ma questa non è una risposta.
Quindi fare questa rivista è, per me, l'opportunità per scoprirlo."
Mentre conducevo questa intervista la redazione di COLORS stava
ultimando il numero 12 "Heaven" e stava già cominciando a pensare
a come realizzare il progetto del direttore creativo: creare un numero
della rivista assolutamente senza parole, un numero nel quale in copertina
apparisse l'avviso:
"Attenzione: in questa rivista non ci sono parole. Comincia qui:"
L'obiettivo era raccontare una storia nella quale fossero le immagini
a suggerire particolari,aggettivi, situazioni, ambientazioni.
Togliendo le parole si sarebbe messo il lettore nelle stesse condizioni
di un turista che non conosce la lingua del luogo. L'unico modo che ha
di capire cosa sta succedendo è attraverso quello che vede.
Interpretare i segnali visivi a cui normalmente non si presta attenzione
significa da una parte osservare particolari che altri non osservano, decidere
in prima persona che significato dare a quei particolari, decidere insomma
di cosa parla questo numero.
In un'epoca in cui la comunicazione visiva diventa sempre più
importante, le persone che non hanno mai imparato a "leggere" le immagini
sono svantaggiate: è come se fossero analfabete.
In ogni caso è un problema di codice e di costruzione dell'interpretazione,
e anche attraverso questo esperimento si tentava di dimostrare come la
fotografia potesse esprimere dei concetti, fornire informazione, possedere
vita propria all'interno di una rivista.
Non solo il direttore editoriale della rivista sembra pensarla in
questo modo. Quando ho chiedo a Lisa Ricci, Managing Editor, quali erano
i parametri di scelta delle fotografia, oltre agli argomenti mi ha risposto:
"...la fotografia deve comunicare! Questo è il fattore più
importante... ovviamente la scelta delle fotografie dipende anche da fattori
tecnici (qualità della foto, direzione della luce, ecc..) e fattori
editoriali. La ricerca inizia a New York e a Milano, i luoghi dove è
possibile reperire il miglior materiale fotografico di tutto il mondo e
per parecchie storie si realizzano "shoot" fotografici. Quando tutto il
materiale arriva in redazione viene selezionato e sottoposto a varie revisioni,
e da un corpus di circa diecimila fotografie visionate viene creato un
numero nuovo. Non è un lavoro facile."
Durante il mio stage presso la redazione di COLORS ho spesso avuto
l'occasione di discutere questo aspetto del loro lavoro; non riuscivo a
capire quali erano i presupposti teorici che stavano dietro a una scelta
cosi coraggiosa
Chiesi a Lisa Ricci se la decisione di impiegare molte immagini
fosse connesso alla mancanza di tempo per leggere, allo sviluppo della
vita moderna, al fatto che la vita quotidiana richiede un'acquisizione
dell'informazione sempre più breve, rapida ed esauriente, imput
sempre più immediati...
"L'uso della foto non è dovuta alla mancanza di tempo per
leggere ne credo che il motivo sia che i tempi della vita moderna sono
più brevi ed immediati. Il motivo fondamentale è che COLORS
usa le fotografia per comunicare.
Il ragionamento che una foto bella, impaginata in un modo graficamente
catturante riesce a comunicare più di due pagine di testo. Per questo
motivo, come sai, la scelta delle immagini da utilizzare è molto
curata.
L'impaginato si comincia solo quando le foto sono selezionate. Infatti
per quasi tutti i numeri di COLORS viene creata la sezione iniziale del
"photo essay" composta solo di foto che raccontano il numero.
Questa idea verrà valorizzata con il numero 13 che sarà
un numero dedicato completamente al concetto della fotografia per comunicare;
infatti sarà un numero senza parole e la copertina conterrà
l'avvertimento: "Attenzione questa rivista non contiene parole!" Quasi
una sorta di sfida verso il lettore disattento..."
Qui di seguito è possibile visionare la copertina del numero
13, l'editoriale e alcune pagine esemplificative del numero.
Da un'analisi precisa di tutti i fattori che concorrono alla produzione
della rivista appare chiaro che anche l'uso di un tipo particolare di formato
e di carta, sempre diversi ad ogni nuova uscita sia un fattore assolutamente
ideologico e di una certa rilevanza.
Per ideologico intendo, il risultato di una scelta accurata, che
tiene conto delle strategie di mercato, della facilità o meno di
consultazione e di una serie di fattori rilevanti dal punto di vista editoriale.
Tenendo conto che i formati più comunemente usati sono:
dal formato 70X100:
17X24 - 24X34 oltre ai multipli e sottomultipli
e dal formato 64X88:
21X29,7 - 21X28 - 20X30 - 20X20 - 15X21 - 14X28
ecco l'elenco dei numeri di COLORS fin'ora pubblicati con il relativo
formato e tipo di carta utilizzato:
numero 1:
28,3X35,6 con catalogo Benetton allegato al fondo della rivista,
in carta semiopaca di alta grammatura (tema: la tua cultura, chiunque tu
sia, è importante come la nostra, chiunque noi siamo)
numero 2:
35X55,5 piegato in due, non rilegato, su carta reciclata di bassa
grammatura (tema: immigrazione)
numero 3:
29X47 su carta reciclata opaca di media grammatura (80 grammi),
legatura: pinzata (tema: quanto vale la vita)
numero 4:
28,4X30,6 su carta reciclata opaca di media grammatura, legatura:
pinzata (tema: razze)
numero 5:
25X34,5 su carta reciclata opaca di media grammatura, legatura:
pinzata (tema: mordi la strada)
numero 6:
27X34,3 su carta opaca ottenuta al 100% riutilizzando giornali e
riviste, legatura: pinzata (tema: ecologia)
numero 7:
19,2X27 questo numero su carta patinata di alta grammatura viene
distribuito in carta plastificata che ne impedisce la consultazione fino
al momento dell'apertura, con un avviso che dice: "attenzione questo numero
parla del'AIDS", legatura in brossura
numero 8:
25X34,4 su carta reciclata opaca di alta grammatura, legatura in
brossura (tema: religioni)
numero 9:
23,2X28,7 su carta riciclata opaca di alta grammatura, legatura
in brossura (shopping)
numero 10:
22,1X28,7 su carta riciclata opaca, con copertina di alta grammatura
e interno di media grammatura, legatura in brossura (tema: sport `per mezzeseghe')
numero 11:
23X28,7 su carta riciclata opaca, con copertina di alta grammatura
e interno di media grammatura, legatura in brossura (tema: viaggi)
numero 12:
22,8X28,7 su carta riciclata opaca, con copertina e interno di media
grammatura, legatura in brossura (tema: paradiso)
numero 13:
23X28,7 su carta patinata lucida, con copertina di media grammatura
e interno di bassa grammatura, legatura: pinzata (tema: senza parole)
numero 14:
25,1X33,1 su arta riciclata opaca, con copertina e interno di alta
grammatura, legatura: pinzata (tema: guerra)
Tutti i numeri sono stampati con offset a quattro colori
Una rivista che celebra le diversità deve essere diversa.
Utilizzare un formato e un tipo di carta diverso ad ogni uscita
significa, a mio parere, dichiarare la propria indipendenza verso le tendenze
di mercato che suggeriscono una certa coerenza d'immagine, significa affermare
la propria volontà di proporre un modello di fruizione nuovo, legato
alla novità e allo stupore di ogni nuova uscita piuttosto che alla
sicurezza di possedere una clientela consolidata e di proporre un prodotto
con delle caratteristiche fisse e tipiche di un certo mercato.
Utilizzare un tipo di carta riciclata e di alta grammatura significa
garantire numerose riletture della rivista, la possibilità di prestarla
agli amici senza che questa si sciupi o si deteriori facilmente.
In generale riferirsi alle linee editoriali seguite dalle svariate
testate significa analizzare fondamentalmente due fattori:
la veste grafica e le caratteristiche che rendono il prodotto più
o meno leggibile, più o meno accattivante per il lettore.
Spesso però si trascura di mettere in evidenza che questi
indici di valutazione, insieme a molti altri, costituiscono il packaging
del prodotto nel vero senso della parola. In generale invece si tende ad
usare questo concetto per prodotti di consumo non di provenienza editoriale.
Nell'attuale cultura dell'apparenza infatti, un ruolo dominante
è svolto dalla confezione che, al di là della precipua funzione
protettiva, ha il compito di "rappresentare" il prodotto.
Cosa più della copertina di una rivista può spingere
o meno all'acquisto?
In effetti gli elementi da valutare sono molteplici, elementi di
carattere estetico ma anche cognitivo: l'impostazione grafica, il titolo
e la grafica del titolo, le evocazioni sui possibili significati del titolo,
l'uso di immagini e colori, il formato della rivista, la sua rilegatura,
l'uso di un particolare tipo di carta e la sua lucidità, il tipo
di font (carattere) usato, le dimensioni del font rispetto al font del
titolo, i contrasti tra i colori degli oggetti e dello sfondo, le texture,
la presenza di foto al vivo o in piccolo formato, ecc...
Particolari che probabilmente possono essere razionalizzati e quindi
studiati solo da un addetto ai lavori, da uno studio di comunicazione ma
che sicuramente vengono recepiti inconsciamente all'atto dell'acquisto
del prodotto, ovvero nel momento in cui si compie una precisa scelta filtrando
l'offerta del mercato e decidendo di acquistare questa rivista piuttosto
che quella.
Come ho già detto non si tratta assolutamente solo di contenuti
ma in larga parte dell'effetto che il packaging ha sull'acquirente, il
potenziale cliente.
Inoltre la rivista possiede in modo più spiccato rispetto
al altri prodotti di consumo, una caratteristica particolare: rappresenta
o propone uno stile di vita al quale il lettore può o deve aderire,
in generale suggerisce una decodifica del materiale umano che il lettore
riconosce come corretta.
Per questo l'aspetto più delicato, insidioso e problematico
del packaging consiste nel porre in netta differenziazione quel prodotto
dagli altri milioni di prodotti esposti. Il consumatore è attratto
da un segno, da un elemento minimo, da un colore o da un contrasto cromatico,
da un nome o da una forma inconsueta, da un particolare grafico, e lì
concentra la sua attenzione, aspettandosi da quell'elemento la maggior
quantità possibile di informazioni.
Proprio per questo negli ultimi tempi ci si è chiesto come
un'immagine di copertina potesse influire sulle aspettative verso i contenuti
di un prodotto editoriale e si sono compiuti vari studi sul manifesto storico
e su illustrazioni e varie copertine di libri.
Nel grande affresco storico della copertina, è stata individuata
una prima fase, più propriamente d'artista, che corrisponde al ruolo
della copertina come unicum comunicativo, che si realizza sia attraverso
l'operatività di anonimi artigiani, sia attraverso interventi d'artista.
Succede quindi una seconda fase in cui la copertina viene assunta coscientemente
come strumento di mediazione tra il contenuto e i destinatari dello stesso,
in vista di una maggiore diffusione del prodotto, libro o rivista. In questa
fase è possibile verificare il prevalere del marketing e della suggestione
volta alla vendita tout court in cui confluiscono spinte diverse e contraddittorie.
Nell'attuale civiltà del consumo-fagocitazione dell'immagine,
un ruolo dominante è svolto dalla copertina, nella quale la ricerca
grafica visiva tenta di ritrovare percorsi possibili di lettura all'interno
della pagina tipografica stessa, atti a coinvolgere in modo immediato e
dinamico l'impatto visivo del consumatore. A questo proposito una importante
innovazione suggerita dalle avanguardie riguardò l'uso, nello spazio
visivo, dell'asse diagonale. In opposizione con l'ordinamento spaziale
comunemente accettato come orizzontale-verticale, ogni rappresentazione
di un piano inclinato diviene un elemento di frattura dell'ordine statico,
una "trasgressione" delle comuni concezioni rappresentative ed uno strumento
di attrazione attentiva. Appaiono cosi le prime headline e i primi slogan
disposti obliquamente, raccordanti altri soggetti rappresentati in contrapposizione
con l'asse orizzontale.
La grafica mette in rapporto diretto segni fino ad allora utilizzati
in ambiti differenti: la parola e l'immagine si fondono in un insieme coordinato,
che acquista così un differente potenziale simbolico e un maggiore
valore narrativo.
La copertina sorprende visivamente prima ancora che intellettualmente,
si dispone ad essere spettacolo puramente iconico, preparando il lettore
a sfogliare più che a leggere, a guardare più che a osservare,
dove l'attenzione è indotta più dall'ambiguità che
dal valore mirato di una scelta iconografica: spesso il contenuto affiora
dalla pubblicità stessa del prodotto.
Dopo l'innovazione tipografica e compositiva operata nell'avanguardia,
oggi l'illustrazione editoriale si allontana volutamente dall'obbiettivo
di comunicare in modo centrato un contenuto o un messaggio, ma è
orientata a ricercare attraverso il fatto artistico, la spettacolarità
labirintica del vivere quotidiano intimamente coniugato con l'espressione
immaginaria onirica, surreale, che nel proprio vissuto ciascuno può
ritrovare. In questa prospettiva è possibile capire la copertina
come involucro inquietante e seduttivo di un prodotto commerciale di cui
non importa in modo particolare visualizzare i contenuti, quanto piuttosto
presentarlo come oggetto che ricalca nella sua apparenza una situazione
sociale più o meno spettacolare, più o meno perturbante o
invadente.
"COLORS magazine" compie delle scelte coraggiose anche in questo
ambito. Il trattamento dell'informazione di copertina ha infatti caratteristiche
ben precise.
Sicuramente alla base del messaggio da comunicare c'é un'immagine,
ancor prima del titolo dell'argomento del numero specifico.
Esso, insieme al nome degli argomenti trattati all'interno, è
spesso posizionato in zone atipiche della pagina rispetto al solito headline.
In particolare nel numero 12 il testo di copertina ha un posizionamento
che lo rende parte integrante dell'immagine.
Per il titolo "Heaven" e la sua traduzione "Paradiso", è
stato utilizzato un font di color giallo/verde, lasciando al lettore il
compito di risalire dall'impatto visivo della fotografia al vivo all'argomento
specifico del numero attraverso un percorso totalmente privato e individuale
di lettura. I temi trattati all'interno del numero costituiscono il pretesto
per creare un motivo visivo che va a rifinire l'immagine che a sua volta
è il risultato di un doppio montaggio.
L'idea è sicuramente quella di attirare, ma di farlo in modo
"non facile".
Tra la miriade di testate che appaiono nella vetrina di una edicola
sicuramente COLORS non emerge con la sua grafica se non per alcuni motivi
fondamentali:
-l'atipicità del soggetto dell'immagine, spesso costituita
da un soggetto a sfondo di tinta unita, quindi decontestualizzato;
-l'uso di colori non naturali;
-il formato atipico;
-l'uso di una grafica essenziale
-l'uso di un font senza grazie sia per il titolo ( l'assenza di
un vero e proprio logotipo di testata) che per il testo (l'avenir è
l'unico carattere che viene usato in tutta la rivista)
-il tipo di carta (in generale si tende ad utilizzare carta riciclata
100% post-consumer, nonostante assorba molto più inchiostro di quella
normale abbassando notevolmente la qualità e la resa della fotografia,
del fotolito e della stampa. Solo per il numero 7 sull'AIDS che era un
numero delicato, importante e molto personale si era deciso di usare una
carta non riciclata e patinata.)
Il panorama delle pubblicazioni fotografiche in Italia e nel mondo
ha caratteristiche essenziali codificate in modo abbastanza rigido.
La tendenza è quella di utilizzare una carta lucida, patinata,
di una grammatura elevata in modo da permettere la massima resa dell'immagine
su un supporto il più possibile adatto alla conservazione.
Le pagine di una rivista fotografica o di moda, assomigliano di
più a quelle di un'enciclopedia di alto livello che a quelle di
un rotocalco, e l'obiettivo è quello di creare un prodotto a costi
relativamente contenuti, che sia quindi a disposizione del pubblico già
in edicola nel momento dell'acquisto del quotidiano, che abbia però
tutte le caratteristiche di un libro/collezione, difficilmente accessibile
al grande pubblico.
Questo spiega il fiorire delle varie raccolte di film, di CD audio
e di altri prodotti allegati alle pubblicazioni quotidiane o periodiche.
Il tipo di carta che COLORS sceglie per le sue pubblicazioni esce
completamente dagli schemi di questo mercato, semmai può essere
inquadrato nel meccanismo opposto, per il quale l'essere diverso da tutti
gli altri è il miglior modo per essere notato.
Per prima cosa occorre ricordare che la carta utilizzata è
di tipo riciclato al 100%.
L'obiettivo è dichiarare la propria coerenza con le idee
ecologiste e il rispetto per la natura, e nello stesso tempo trasmettere
un messaggio al lettore:
Attenzione lettore! COLORS non è la solita rivista fotografica
d'élite,
non vogliamo essere inquadrati in tipo di pubblicazione, non siamo
la voce di Benetton, non pretendiamo di mostrarti immagini ad alta qualità
ma immagini di alta qualità, dove sono i contenuti e non la forma
il messaggio che vogliamo trasmettere.
L'unica particolarità è che i contenuti stanno dentro
alle immagini.
Per quanto riguarda il formato inizialmente il progetto prevedeva
che variasse ad ogni numero. L'idea era quella di mantenere sempre un formato
"tabloid" e non scendere mai nei formati tipici di altre riviste.
In realtà per esigenze di distribuzione (il tabloid non sarebbe
mai esposto bene) e costi (il formato influisce sul costo della stampa
ed anche la quantità della carta) si è arrivato ad un formato
standard usato con COLORS 9, 11 e 12 che è 23cm X 28.7 cm e riesce
ad essere più piccolo, conveniente pur mantenere un formato quadrato.
Inoltre occorre specificare che la rivista viene venduta in Italia
solo in poche edicole nel centro delle più importanti città,
mentre all'estero viene distribuita nei negozi Benetton.
Anche per questa ragione la sua esigenza non è quella di
raggiungere il potenziale cliente attirando necessariamente la sua attenzione
se non piuttosto quella di stupire e affascinare a tal punto il lettore
casuale e disattento in modo che egli sia stimolato a cercare il titolo
di copertina tra le tante che appaiono in edicola.
A questo scopo una traccia della presenza della rivista è
data dal suo formato atipico, sempre fuori dai canoni, e per questo più
riconoscibile.
L'uso del testo inglese a fronte
Una delle caratteristiche tipiche di COLORS è la presenza
di testo inglese a fronte in tutte le edizioni proposte (italiano, francese,
spagnolo e tedesco).
L'obiettivo può essere incoraggiare alla lettura in una seconda
lingua, quindi ad una sorta esercitazione nell'apprendimento di una lingua
straniera, ma anche dimostrare che la rivista ha l'obiettivo di costituire
uno strumento, una merce di scambio che può avvenire tra membri
di comunità diverse, tra individui di diverse nazionalità,
con usi e costumi diversi.
Altri obiettivi possono essere costituiti dall' incoraggiare la
collaborazione tra individui appartenenti a diverse culture o facilitare
la diffusione della rivista utilizzando il supporto della lingua inglese
per la diffusione in paesi non europei o ancora il tentativo di coerenza
nei confronti di una rivista dichiara di "parlare del resto del mondo"
per cui ambisce a comunicare con un pubblico internazionale.
Vorrei concludere questo capitolo ponendo un quesito teorico.
Non è chiaro a questo proposito quanto il fatto di cambiare
formato e tipo di carta ad ogni uscita comporti l'aumento di visibilità.
Per rispondere a questa domanda occorre riflettere in primo luogo
su un fattore importante: la risposta del pubblico.
Al di là del fatto che in Italia la percentuale di lettori
è molto bassa, bisogna tener conto del fatto che nel nostro paese
si legge ancora "Stop","Novella 2000", e altre pubblicazione dello stesso
genere, che gran parte dei lettori occasionali, o lettori della domenica,
di quotidiani nazionali consulta in ordine prima lo sport, la cronaca cittadina,
le previsioni del tempo, gli spettacoli ecc... tralasciando politica ed
economia per non parlare delle pagine di cultura.
E osservando un qualsiasi quotidiano del territorio nazionale risulta
chiaro che il linguaggio giornalistico non ha mai proposto al pubblico
un metodo di fruizione alternativo.
Utilizzando il linguaggio della burocrazia per parlare di politica,
il linguaggio specialistico per dibattere di economia, e il linguaggio
intellettualistico per disquisire di cultura, l'universo dei giornalisti
ha creato ghetti e subculture élitarie, reso inaccessibile l'informazione,
impossibile la fruizione intelligente al grande pubblico.
Le riviste di moda e di costume, d'altro canto, non hanno operato
in modo più oculato.
Si sono andati creando segmenti di mercato nei quali da una parte
collochiamo "Moda", "Max", "King", "Elle", "Vogue" e poi "Class", "Money"
per citare solo i più famosi famosi e diffusi e dall'altra "Gioia",
"Gente", "Oggi", "Stop", "Anna" con un mercato intermedio composto da testate
come "Donna Moderna" , "Cento Cose", "CasaViva".
La ricerca si fa ancora più interessante se si prova ad analizzare
questo materiale editoriale attraverso una ricerca per argomenti. Per esempio
nel settore "rivista d'arredamento" o "viaggi" il panorama editoriale italiano
offre testate di vario genere, facilmente associabili alle classi sociali
di riferimento, nelle quali, questa volta con cura maniacale, vengono filtrate
tutte le informazioni, pubblicità comprese. Non troverete mai una
pubblicità "Rolex" su "Stop", e il motivo è fin troppo ovvio.
Il panorama internazionale propone all'incirca la stessa situazione
con alcune varianti specialmente nei paesi del nord.
A parte il celebre "The Face" londinese che ha lanciato una vera
e propria tendenza innovativa e il canadese "Wired" di cui recentemente
di è prodotto anche una versione per i paesi anglosassoni e una
versione elettronica che però non consta degli stessi contenuti
e non vuole essere sostitutiva della versione cartacea .
In Olanda si è registrata la nascita di alcune testate di
moda e costume che hanno tentato di abbattere le barriere della consuetudine
con l'utilizzo di foto, testi, grafica e trattamento dell'informazione
fuori dai canoni della produzione periodica.
Si chiamano "Avenue, the magical mystery" , "Blvd." , "Dutch" e
sono comparse sulla scena intorno al 1984.
La prima di esse è composta da una scatola contenente la
rivista, un allegato che può essere un libro o una seconda rivista
monotematica e un gadget, anche se questo non è il nome più
appropriato perchè ricorda quegli oggetti che vengono regalati nelle
promozioni di prodotti e che di solito rispecchiano esattamente il grado
di originalità e intraprendenza degli imprenditori italiani e dei
loro dipartimenti creativi, oltre che rappresentare il grado di intelligenza
di chi da essi rimane irretito.
Di solito si tratta di un poster 3D, una carta da lettere e busta
ad immagine coordinata, una busta di plastica a forma e delle dimensioni
di un sacco a pelo con sopra stampata in bassa definizione l'immagine di
due corpi nudi ecc.. Una sorpresa, una misteriosa scatola contenente la
moda del momento, la risposta a ogni curiosità del pubblico.
La rivista riporta editorial sulla moda, le ultime tendenze in campo
musicale, le performance di giovani o parrucchieri, ma le parti su cui
occorre soffermarsi sono essenzialmente due: il tipo di pubblicità
e i servizi di moda;
Per quando riguarda la pubblictà vorrei soffermarmi su "Nirvana"
medicinale calmante per stati di stress e "Relian" analgesico.
Il testo di "Nirvana" recita:
se siete stressati e volete suicidarvi...Nirvana, il modo umano;
la fotografia riporta l'immagine di un treno ad alta velocità
che si sta schiantando nella notte, proprio su di voi.
Ovviamente l'immagine rappresenta solo il treno e la sfocatura lascia
alludere alla velocità, ma il testo a fianco non lascia spazio ad
altri riferimenti referenziali se non a quello appena descritto.
Nella seconda pubblicità l'immagine recita:
A qualcuno piace soffrire....per gli altri c'è Relian.
L'apparente normalità all'interno della quale si colloca
una frase di questo tipo per la descrizione di un medicinale che allevia
la sofferenza provocata da una malattia viene completamente sovvertita
dall'immagine utilizzata: una scena di sadomasochismo con una forte componente
maschilista e un chiaro riferimento agli esperimenti di peircing e di superamento
dei confini fisici.
L'ultima pubblicità a cui voglio far riferimento è
relativa alla prostituzione. L'immagine di sfondo raffigura il corpo nudo
di una donna, sfocato e posto in una zona di penonbra, l'headline recita:
Prostituzione, un mestiere come un altro!
È chiaro che si tratta di un tipo di informazione che in
Italia avrebbe un riscontro altamente negativo tra il pubblico, come d'altronde
hanno avuto le pubblicità di Toscani (di cui parlerò nei
capitoli successivi).
Questo perché si tratta di argomenti che vengono trattati
in modo inusuale, facendo riferimento a temi scottanti, realtà che
è conveniente non scoprire o di cui è meglio non parlare.
La "gente" ha bisogno di sentirsi protetta all'interno delle sue
convinzioni e non è disposta a rischiare di metterle in gioco nel
tentativo di capire e di affrontare i problemi della società.
E la pubblicità e il mondo dei media non può e non
deve ricordare al suo pubblico questa grande debolezza, il suo unico, preciso,
determinato scopo di esistenza è l'intrattenimento, lo svago, il
piacere e un tipo di informazione che non urti il comune senso del pudore
e le norme di comportamento costituite.
Risulta chiaro anche perché una rivista del genere viene
prodotta in Olanda piuttosto che in Italia, perché è una
rivista che rispecchia una società aperta e tollerante, attenta
alle diversità, disponibile al dialogo e i cui comportamenti non
sono relegati ai canoni della tradizione, del buon gusto e della moralità,
canoni in base ai quali ogni valutazione è discutibile o per lo
meno soggettiva.