[colors]

Capitolo due:
2.2) LA PERCEZIONE DELL'IMMAGINE

2.2.1. Il concetto di percezione

 Nel corso dell'analisi dei parametri di valutazione di COLORS ho affermato che l'uso delle immagini è uno dei cardini da cui partire per analizzare gli obiettivi comunicativi della rivista.

 Per uso delle immagini intendo il modo in cui i creatori della rivista hanno voluto sfruttare le immagini per comunicare un determinato messaggio.
Le domande che sorgono spontanee sono:
che tipo di percezione si aspettano dal fruitore? Credono nella percezione come cognizione o il loro obiettivo è quello di produrre una sensazione? In termini più teorici possiamo affermare che esiste intelligenza nella percezione? E ancora: ma l'intelligenza non riguarda forse il pensiero? E il pensiero non comincia dove termina l'opera dei sensi?

 A queste domande ha tentato di rispondere Rudolf Arnheim nel suo libro "Il pensiero visivo" dimostrando che

"...le operazioni cognitive chiamate pensiero non sono privilegio dei processi mentali posti al di sopra e al di là della percezione, bensì gli ingredienti essenziali della percezione stessa."

Vi sono delle ragioni precise che giustificano la tradizionale frattura tra vedere e pensare ed è dovuta alla necessità di porre una distinzione tra l'informazione che un uomo riceve attraverso gli occhi e il trattamento cui tale informazione viene assoggettata.
Spesso inoltre le due fasi di questo procedimento vengono assimilate all'opposizione tra la fase passiva di ricezione e la fase attiva di elaborazione anche se la collaborazione tra il percepire e il pensare, nella cognizione, risulterebbe incomprensibile se esistesse una separazione tra le due facoltà.
In realtà si tratta di un unico procedimento di decodifica nel quale la percezione e il pensiero interagiscono: i nostri pensieri influenzano quanto vediamo e viceversa.
Tant'è il pregiudizio e la discriminazione tra percezione e pensiero sopravvivono ancora oggi.
Il nostro sistema educativo, ad esempio, seguita a fondarsi sullo studio delle parole e dei numeri, e viene dedicato molto più spazio e attenzione all'uso scritto della parola che alla "performance" chomskiana. Essa viene quasi data per scontata.
Nel momento in cui un bambino avrà imparato a comporre un pensiero egli sarà, nell'immaginario comune, considerato automaticamente in grado di formularlo oralmente, ma anche di connotarlo e contestualizzarlo con una adeguata prossemica, ecc..

 In primo luogo occorre porre degli argini ai significati, determinare in modo univoco il senso che vogliamo dare al termine "percezione" in questo contesto.
Non assumerò la definizione in base alla quale la percezione consiste in ciò che viene ricevuto dai sensi nel momento in cui sono stimolati dall'ambiente esterno perché tale definizione mi appare troppo limitante.
Si tratta infatti, di analizzare gli stimoli esterni che raggiungono le nostre facoltà consciamente o inconsciamente, volontariamente o automaticamente attraverso i centri superiori del nostro cervello o per puro riflesso.
Arnheim, nel compiere questa distinzione afferma che questa è stata una delle discriminanti più dibattute nella dialettica con la psicologia e la psicanalisi.
Prenderò semmai a prestito la definizione con cui El Lissitsky, famoso architetto e grafico russo costruttivista, descriveva nel 1932 il formarsi della sua percezione:

 "Equipaggiamento tecnico. Siamo stati educati nell'epoca delle invenzioni. A cinque anni ho sentito il fonografo di Edison, a otto il primo tram, a dieci il primo cinema, poi il dirigibile, l'aeroplano, la radio.
La sensibilità si munisce di strumenti per ingrandire e rimpicciolire"

Erano gli anni in cui era forte la spinta del futurismo verso estreme soluzioni sociali, l'attivazione della tematica dei linguaggi di massa e la ricerca di una estesa ed esauriente assunzione di conoscenza e di possesso di tutti i media, dalla stampa al cinema, dalla fotografia alla radio, dalla posta al manifesto.
La pratica dell'utilizzazione dei media chiarisce anche l'idea futurista della necessità di "occupare" i nuovi spazi della comunicazione, cercando di ricrearne gli elementi: rapidità, pervasività, visibilità, efficacia.
Dietro questa urgenza, la necessità di codificare la percezione che si aveva di questi mezzi, ciò che potevano realmente comunicare al pubblico al di là dello stupore e della curiosità iniziale.
Si tratta di capire quale intima relazione esiste tra l'uomo, le sue esigenze, i suoi limiti, e la macchina e a questo scopo ritengo opportuno dare uno sguardo alle esperienze del passato.

 2.2.2. La tecnologia modifica la cognizione

Per fornire un metodo di lettura di questo scritto è forse utile sottolineare che la trattazione dei temi non segue una linea cronologia ma una linea argomentativa.
Per questo motivo ho deciso di inserire riflessioni appartenenti a studiosi di discipline anche molto distanti tra di loro, per interessi e per collocazione temporale.
La linea di ricerca aperta da Marshall Mc Luhan permise di descrivere la cognizione in modo più duttile, più elastico, come continua rimodellazione delle interfacce mente-mondo, proprio perché collegò la cognizione alle condizioni ambientali, tecnologiche e comunicative entro cui l'attività cognitiva concretamente si svolge.
Secondo Mc Luhan, le tecnologie attraverso le quali si comunica modellano la disposizione cognitiva, le forme di ricezione e di elaborazione, mettono in moto un processo di riadeguamento, un processo di slittamento paradigmatico. In questo modo il sistema mente-mondo si ridetermina: si trasformano cioè sia le modalità di ricezione ed elaborazione mentale sia le strutture culturali di base.
Merlin Donald a questo proposito scriveva:

"In effetti, si potrebbe dire che il carattere essenziale dell'umanità risiede non tanto nel linguaggio quanto nellla capacità di rapido mutamento culturale"

E più avanti Franco Berardi afferma:

"le forme tecnologiche della comunicazione sono il fattore principale di integrazione; esse ridefiniscono il funzionamento simbolico dei sistemi immaginari, senza cancellarli e senza annullarne le componenti elementari."
... "Il lavoro di ricodificazione si esercita sul montaggio, non direttamente sui materiali"

introducendo il concetto di montaggio di cui ho già parlato.
Nella contaminazione prodotta dalla mondializzazione economica e comunicativa assistiamo a una trasformazione che non interessa soltanto l'ambito culturale, ma anche le modalità cognitive di percezione, memorizzazione, immaginazione e proiezione del mondo.

 2.2.3. I sensi come "media"

Il pensiero non comincia dove termina d'opera dei sensi?
Porsi questa domanda può essere utile per svariate ragioni.

 La prima è sicuramente costituita dal fatto che tentare di riconsiderare i luoghi comuni a volte può essere stimolante e spesso ci si accorge di quanto il nostro pensiero sia pilotato dal pensiero altrui, specie se considerato di un esperto.
Infatti ci renderemo presto conto di come alcuni assunti considerati veri e su cui si basano ulteriori importanti teorie siano in realtà falsi.
Il senso della vista, per esempio, insieme all'udito, è il medium per eccellenza, per l'esercizio dell'intelligenza.
Nella visione, le forme, i colori, i movimenti, i suoni, sono suscettibili di un'organizzazione precisa ed altamente complessa nello spazio e nel tempo.
In questo senso, la virtù grandissima della visione è che non solo si tratta di un medium estremamente articolato, ma che il suo universo offre informazioni inesauribilmente ricche circa gli oggetti e gli eventi del mondo esterno. Esso è il medium primario del pensiero.

 2.2.4. La percezione della forma

Nella percezione della forma sta il germe della formazione dei concetti.
Mentre l'immagine ottica proiettata sulla retina è una registrazione meccanicamente completa del suo corrispondente fisico, il corrispondente precetto visivo, invece, tale non è.
La percezione della forma consiste nel cogliere gli elementi strutturali che si trovano entro il materiale di stimolo.
La percezione consiste nell'adattare questo materiale a stampi di forma relativamente semplice, che Rudolf Arnheim chiama concetti visivi o categorie visive.
L'oggetto, che avrà una sua complessità di struttura verrà ricondotto a una qualche configurazione organizzata, attraverso l'applicazione di categorie formali. La percezione di un oggetto comporta in un certo senso la risoluzione di alcuni problemi.
Occorre prescindere sufficientemente dal contesto in un l'oggetto è situato, relazionare l'oggetto con la distanza percepita, compiere un'astrazione che consiste nel cogliere gli elementi strutturali, valutare altre modificazioni percettive come la luminosità, il colore, la trasparenza, la prospettiva e le correzioni ottiche, che dipendono dalla fonte che lo illumina, dalla dislocazione spaziale dell'oggetto in relazione alla fonte di luce e all'osservatore.
Ciò che Rudolf Arnheim vuole dimostrare è che il tipo di processo osservabile nel pensiero logico ha luogo anche a livello percettivo, che la percezione visiva è un atto intelligente.

 2.2.5. Cenno sugli aspetti tecnici nella percezione dell'immagine

2.2.5.1. La prospettiva
La prospettiva può essere considerata l'arte di rappresentare lo spazio secondo proporzioni tridimensionali.
In base alla definizione di Derrick de Kerckhove, essa è una diretta proiezione del "brainframe alfabetico" .
Contrariamente all'opinione corrente, non c'è assolutamente nulla di naturale nella prospettiva. Si tratta di un modo del tutto alterato di rappresentare lo spazio.
Mostrando il proporzionato ridursi delle dimensioni e della distanza sul foglio come una veduta decrescente a partire dall'occhio di chi guarda, il pittore "colloca il tempo nello spazio" ovvero rappresenta l'ordinato succedersi degli oggetti in una realtà spaziale.
Tuttavia non ci mostra ciò che realmente c'è, ma come dovrebbe apparire all'occhio dello spettatore. Lo spazio reale, invece, mostrerebbe le distanze quali sono.
La prospettiva quindi non ci mostra lo spazio reale ma lo spazio organizzato da una visione altamente tendenziosa e selettiva. E' il risultato dell'imposizione del tempo sullo spazio fisico dell'immagine.
Perché mai una cosa simile deve essere desiderabile?
Il tema della prospettiva si collega naturalmente al punto di vista e a questo proposito l'autore di Brainframes si ricollega alle distinzioni di funzione dei due emisferi:

 "...Il cervello ha bisogno di due occhi, che osservino la realtà esterna da due punti di vista lievemente diversi, al fine di calcolare le proporzioni dello spazio tra gli oggetti. Per ottenere una visione prospettica, al cervello si chiede di calcolare i rapporti insieme al prodotto finale dei campi visivi combinati di entrambi gli occhi. E' principalmente l'emisfero sinistro, non quello destro, a fare questi calcoli e ad analizzare in tal modo il campo visivo...Una parte dell'occhio vede semplicemente l'area mentre l'altra la analizza."

 

2.2.5.2. Figura-sfondo

I termini figura e sfondo furono presi in prestito dalla Gestalttheorie dal critico d'arte danese Edgar Rubin, che verso il 1915 circa cominciò ad usarli per discutere i parametri della percezione visiva e in seguito, al Centre for Culture and Tecnology ne hanno ampliato l'uso per potervi includere concetti come percezione e coscienza .
Tutte le situazioni visive sono composte da un'area di attenzione (figura) e un'area molto più vasta di disattenzione (sfondo). Le due sono in continuo stato di interazione conflittuale, mantenendo un confine, o separazione o intervallo fra di loro, che serve a definire simultaneamente i componenti di una immagine.

 In questo paragrafo vorrei analizzare più da vicino che grado di influenza abbia sulla percezione di un oggetto/concetto il rapporto figura/sfondo dato che, a mio parere, le nuove tecnologie collegate al video si propongono di imporre un nuovo monopolio dello sfondo sulla figura.
E' importante precisare che il campo visivo viene considerato come un campo di forze e che la visione è il risultato di una somma di più parti percepite non isolatamente ma in relazione ad altre parti.
I fattori principali dell'organizzazione del campo visivo sono:
- la vicinanza e la somiglianza, in base alla quale una configurazione si stabilizza a seconda della relazione che si instaura tra elementi vicini, e simili, in base alla regola dell'economia e della semplicità.
- La chiusura: in particolare tendono a emergere percettivamente le forme chiuse, la continuità di direzione, la pregnanza o buona forma, l'esperienza, e/o l'esperienza diretta.

 La psicologia della forma si rivela determinante per l'organizzazione percettiva soprattutto in determinate condizioni spaziali in cui viene richiesto di completare le parti mancanti del campo visivo facilitando così il riconoscimento di dati già sedimentati nella memoria.
Nell'esempio dell'immagine che presenta porzioni bianche e nere alternativamente convocate dall'attenzione a diventare figura o sfondo, provocando attribuzioni di senso assolutamente diverse, Arhneim ha puntualizzato il fatto che il rapporto figura-sfondo è condizionato da alcune proprietà caratteristiche in base alle quali è possibile presumere quale area del campo si presta con maggiore probabilità a diventare figura e quali altre parti ad assumere il valore di sfondo.
Queste proprietà riguardano:

 - la grandezza,
- la forma delle parti.

 L'area di minori dimensioni tenderebbe infatti a scomparire, in prima analisi, in qualità di figura, compresa in una zona più vasta, la quale propenderebbe a diventare sfondo.
Un'altra proprietà condizionante è quella della convessità e concavità dei margini delle zone.
Risulta infatti più probabilmente figura l'area con margini convessi che pare quasi chiudano al loro interno la forma.
Infine è determinante la direzione delle aree del campo: si percepiscono preferibilmente con carattere di figura le forme con un orientamento verticale oppure orizzontale.
Naturalmente può anche prevalere una condizione di instabilità generale in cui la figura e lo sfondo sono mutuamente predisposti all'alternanza dei ruoli: ciò si verifica quando nessuna delle condizioni precedenti determina la preferenza percettiva.
La figura diventa, in questo caso, con facilità sfondo e viceversa, a discrezione dell'intenzione dell'osservatore o per un naturale effetto della fissazione o a causa delle caratteristiche stesse dell'impianto grafico.

 La percezione è legata a fattori di forma e contenuto ed è condizionata da molteplici variabili che si rivelano di notevole importanza nel momento in cui si deve valutare l'impianto comunicativo di un prodotto editoriale, come può essere quello da me preso in considerazione, COLORS Magazine.
Si tratta di capire che non sono il soggetto dell'immagine o la sua impaginazione grafica, la qualità fotografica o la quantità di testo che accompagna l'immagine che definiscono il tipo di messaggio che comunica o come lo comunica, ma è la somma di tutte queste caratteristiche, il prodotto di una serie di azioni mentali che compiamo nella decodifica dell'oggetto.

 

2.2.6. Il ruolo dell'esperienza

"Solo la separazione di ciò che è significativo da ciò che è irrilevante nell'esperienza che facciamo del mondo ci permette di passare dalla conoscenza alla comprensione, alla piena trasformazione dei dati conoscitivi in esperienza singolare. Il rapporto tra significativo e irrilevante può essere definito unicamente in relazione all'esperienza singolare dell'organismo."

2.3. L'IMMAGINE COME MEDIUM PER IL "LINGUAGGIO".

Quello che forse incuriosisce di più gli studiosi e li spinge a tentare di decodificare la grande macchina della comunicazione è l'uso di un linguaggio fatto di una indefinita miriade di tasselli, un codice con molte chiavi, uno strumento complesso e affascinante. Per linguaggio intendo il testo parlato (e di conseguenza anche lo scritto) ma anche il linguaggio come insieme di forme percettive - uditive, cinestetiche e visuali.
Considerare il linguaggio dal punto di vista delle sue forme percettive significa ignorare il cosiddetto significato delle parole, vale a dire i loro referenti.
Essi appartengono ad un campo diverso dell'esperienza percettiva.
In questo senso "il linguaggio può a buona ragione essere considerato un mezzo indispensabile al pensiero."
Ma ciò che lo rende tanto valido per pensare, non può essere, secondo Rudolf Arnheim, il fatto di pensare in parole. Egli afferma che ciò che rende il linguaggio uno strumento così adeguato, deve consistere nell'aiuto fornito dalle parole al pensiero mentre esso opera in un suo medium più appropriato, quale quello dell'immagine visuale.
Contrariamente a ciò che generalmente si usa affermare, ovvero che il linguaggio (questa volta inteso come facoltà linguistica) sia una veicolo del pensiero migliore rispetto alle altre forme o ai suoni, Rudolf Arnheim afferma che occorre porci una domanda a questo proposito.

 "Il linguaggio adempie al servizio comunicativo sostanzialmente per mezzo di proprietà inerenti al "medium" verbale in se stesso, o funziona indirettamente, ovvero indicando i referenti delle parole o delle proposizioni, vale a dire i fatti forniti da un "medium" interamente diverso. Inoltre, ci occorre sapere se il linguaggio sia o meno indispensabile per pensare?
La risposa a quest'ultima domanda è no."

Arnheim con la sua capacità di mettere in discussione un argomento che per un'intera scuola di ricercatori sarebbe potuta apparire ai limiti dell'assurdo, dai filosofi del linguaggio ai linguisti, agli strutturalisti, afferma la superiorità del medium visivo, per quanto riguarda le dimensioni percettive.

 "Il medium visivo è tanto enormemente superiore perché offre equivalenti strutturali di tutte le caratteristiche degli oggetti, eventi e relazioni.
La varietà delle forme visuali disponibili è grande quanto quella dei possibili suoni del linguaggio, ma quello che conta è che esse si possono organizzare secondo patterns prontamente definibili, di cui le forme geometriche sono l'illustrazione più tangibile.
La virtù principale del medium visuale è quella di rappresentare le forme in uno spazio bidimensionale e tridimensionale, in confronto con la sequenza monodimensionale del linguaggio verbale.
Questo spazio polidimensionale non soltanto offre al pensiero efficaci modelli di oggetti fisici o di eventi, ma rappresenta pure isomorficamente le dimensioni che occorrono al ragionamento teorico."

 La storia dei linguaggi mostra che parole, che oggi non sembra rinviino all'esperienza percettiva diretta, vi si riferivano originariamente. Numerose fra esse sono ancora riconoscibilmente figurative.
La profondità della mente, ad esempio, in inglese è denominata mediante una parola che contiene la radice latina fundus.
L'universale abitudine verbale riflette, ovviamente, il processo psicologico mediante il quale i concetti che descrivono fatti "non- percettivi" derivano da quelli percettivi.
La nozione di profondità del pensiero deriva dalla profondità fisica; quel che più conta, la profondità non è semplicemente una metafora conveniente per descrivere il fenomeno mentale, ma l'unico modo possibile di concepire persino tale nozione.
La profondità mentale non è pensabile senza la consapevolezza della profondità fisica... ovviamente i sensi non visivi contribuiscono per la loro parte a rendere pensabili le cose non-percettive.
Infine occorre precisare che il pensiero umano non può andare al di là dei patterns che i sensi umani gli offrono. Pertanto, il linguaggio conferma esplicitamente l'ipotesi che il pensiero abbia luogo nel campo dei sensi.

 2.3.1. Che cosa fanno le parole per le immagini?

Sebbene non vi sia alcuna ragione per ritenere che il linguaggio sia necessario per realizzare la percezione, le parole offrono tuttavia etichette stabili che affidano l'esperienza sensoriale al riconoscimento di certi tipi di fenomeni.
Ma il linguaggio fa qualche cosa di più. Gli psicologi hanno fatto notare che le parole, dalle quali le cose sono denominate, sono categorie. Mediante i nomi categoriali, il linguaggio è in grado di codificare i mutamenti di classificazione cui un oggetto è sottoposto in pratica.
Il pittore Georges Braque ha osservato: Un cucchiaino da caffè presso una tazza acquista improvvisamente una funzione diversa quando lo metto tra la scarpa e il tallone: diventa un calzascarpe.
Un simile mutamento di funzione è accompagnato da una precisa ristrutturazione percettiva, il manico del cucchiaio, ad esempio, si trasforma da manico in leva.
Ma all'identità dell'oggetto, che nondimeno resta, si contrappone la distinzione verbale tra cucchiaino da caffe e calzascarpe. Su un piano più generale, il linguaggio contribuisce a controbilanciare una tendenza percettiva a vedere le cose come pure forme.
Essendo stato coniato per necessità pratiche, il linguaggio tende a suggerire categorie funzionali più che formali, e pertanto ad andare al di là della pura apparenza. Per valutare in modo più adeguato l'importante ruolo del linguaggio, Arhneim afferma:

 " è necessario riconoscere che esso può costituire un ausilio per i veicoli primari del pensiero, i quali sono meglio, anzi immensamente meglio attrezzati di lui per rappresentare oggetti e relazioni di rilievo mediante una configurazione articolata. La funzione del linguaggio è essenzialmente conservatrice e stabilizzatrice, e pertanto tende pure, negativamente, a rendere statica ed immobile la conoscenza."

 Ciò che ho tentato di affermare in altre parti della mia ricerca, ovvero che COLORS utilizzava l'immagine come mezzo di comunicazione del suo messaggio, dando per scontato che potesse essere più che sufficiente viene confermato dalla teoria di Arnheim.
Può costituire infatti, una scelta precisa, evitare di utilizzare il linguaggio scritto, il testo, per specificare e spiegare o commentare delle immagini, dando al lettore il solo supporto di un testo didascalico che non vuole fornire etichette categoriali funzionali all'immagine e tantomeno contestualizzarle, semplicemente mantenere una certa trasparenza dell'informazione.
Il fatto che, ad esempio, accanto ad una immagine di un mercato vi sia un testo didascalico che recita "mercato a Taiwan, il mercoledì si vengono anche rane e lucertole" non compromette a nessun livello la decodificazione percettiva dell'immagine, semmai offre al lettore curioso uno strumento in più, puramente informativo e senza finalità di commento, per la conoscenza.

 2.3.2. L'informazione visiva

Ritengo a questo punto importante chiarire le potenzialità dell'immagine rispetto alle altre forme di comunicazione, chiedermi che cosa può e che cosa non può fare meglio del linguaggio scritto o parlato.
Molti studiosi si sono dedicati e si dedicano ad analizzare le varie funzioni del linguaggio, che resta lo strumento consacrato alla comunicazione umana.
Tentare di descrivere un'immagine con l'uso del linguaggio, per esempio, può avere dei vantaggi e degli svantaggi.
Se abbiamo detto che il linguaggio ha una capacità descrittiva molto elevata è anche vero che esso si serve di universali e che nessuna descrizione può essere mai completa.

 "Non c'è limite, per principio, alla successione di domanda che potreste fare riguardo ad ogni particolare..."

La differenza tra i due linguaggi consistono nel fatto che:

 "...Mentre un resoconto verbale ha bisogno di assicurarci che pretende di descrivere uno stato del mondo esistente, la rappresentazione figurativa senza titolo può riferirsi facilmente tanto ad una costruzione davvero esistente come a un'immagine della memoria, a un progetto o a una fantasia."

Il mio obiettivo è domandarmi anzitutto quali funzioni possono essere esplicate dall'immagine visiva.
Essa è dotata di una suprema capacità di appello , ma il suo uso a scopi espressivi è problematico; in realtà, senza qualche ausilio esterno, non è assolutamente in grado di svolgere una funzione analoga a quella assertiva del linguaggio.
La capacità di appello non si limita alle immagini di oggetti precisi: anche le configurazioni astratte di forme e colori hanno il potere di influire sulle nostre emozioni. Basta tenere gli occhi aperti per vedere come queste potenzialità dei mezzi visivi siano sfruttate ovunque, dal segnale rosso di pericolo al modo in l'arredamento di un ristorante può essere studiato per creare una certa "atmosfera".
Ma basterebbe la sola immagine a esplicare la funzione comunicativa?

"Si, afferma Gombrich, a patto di accostarvisi con una certa conoscenza di abitudini e di convenzioni sociali."

In effetti ciò che tento di dimostrare nella mia tesi non consiste nel fatto che il linguaggio visivo ha valore informativo più alto del linguaggio orale o scritto, bensì che in COLORS, essendo l'obiettivo primario costituito, non dall'informare il lettore, ma dal dotarlo degli elementi e degli strumenti visivi necessari per decodificare individualmente un certo tipo di informazione, nel caso specifico l'immagine può costituire uno strumento adeguato, anche più del linguaggio.

 Per spiegare quante cose tendiamo a dare per scontate quando cerchiamo d'interpretare il messaggio trasmessoci da un'immagine, Ernst H. Gombrich ci mostra Cave canem, un mosaico pompeiano che rappresenta un cane da guardia intento ad abbaiare ad un presunto intruso che però non appare. Ciò che vediamo è il cane nero in primo piano, ringhiante, nell'atto di compiere il suo dovere.
Se appartenessimo ad una cultura diversa, il mosaico si presterebbe a molte interpretazioni diverse da quella cha ha spinto i padroni di casa a sistemare il mosaico davanti alla porta di casa.
Non potrebbe darsi che il proprietario volesse richiamare l'attenzione su un cane che desiderava vendere? O forse era un veterinario?
E il mosaico non avrebbe anche potuto funzionare come insegna per un pub chiamato "Al cane nero"?
Tutto dipende sempre da quanto già sappiamo sui suoi possibili sensi e in ogni caso, per automatica che possa essere la nostra prima reazione di fronte a un'immagine, la lettura non potrà mai essere passiva.

 In questo senso privilegiare le culture altre nei temi discussi nei vari numeri di COLORS, mostrando immagini che spesso sconfinano nell'incredibile e spiegando come individui appartenenti a culture diverse dalle nostre possano avere i nostri stessi bisogni e le nostre emozioni può essere uno strumento in più per chiedere al lettore di leggere con attenzione le immagini che ha sotto gli occhi, valutare il valore di appello che ogni singola immagine contiene, decodificarne in prima persona il significato senza farsi trasportare dal pregiudizio.

 La difficoltà che incontriamo nell'interpretare il significato del mosaico è istruttiva nel senso che anch'essa si può esprimere in termini di teoria della comunicazione.
Come i messaggi verbali, le immagini sono soggette a quelle fortuite interferenze che i tecnici chiamano "rumore", e che si cercano di neutralizzare sfruttando l'effetto di ridondanza. Contrariamente a ciò la casualità di una corretta lettura dell'immagine è governata da tre variabili: il codice, la didascalia e il contesto.
Si potrebbe credere che la sola didascalia basterebbe a rendere ridondanti le altre due, non fosse che le nostre convenzioni culturali sono estremamente flessibili.
Non c'è dubbio comunque che la parola e l'immagine, combinandosi, accrescano le probabilità di una corretta ricostruzione dell'informazione e ha il risultato di facilitare la memorizzazione.
Ci sono casi invece in cui il solo contesto basta a togliere ambiguità al messaggio visivo, anche senza l'uso delle parole.
In alcuni casi la condensazione e la concentrazione su alcuni particolari isolati dal contesto, sono usate tanto per il loro potere di appello, quanto per l'effetto di sorpresa che sanno generare.

 "L'immagine incompleta, o inattesa, crea un piccolo enigma che ci tiene sospesi per un attimo, e fa sì che ne ricordiamo, o godiamo, la soluzione, mentre la prosa di un'immagine puramente informativa passerebbe inosservata, o si dimenticherebbe subito".

Una caratteristica delle immagini utilizzate in COLORS sta proprio nell'assenza del contesto. Spesso gli oggetti presenti nelle immagini, in particolare nelle fotografie di Oliviero Toscani, sono rappresentati in fondi completamente neutri e asettici, a volte anche privi di colore.
Se da una parte l'obiettivo può essere inserire un elemento di disturbo nella decodica nell'immagine, privando il fruitore di ancorarsi a una serie di punti di riferimento che gli permettono di collocare l'oggetto in una situazione, dall'altra può essere presente il tentativo di lasciare maggiore libertà possibile al lettore, offrirgli l'opportunità di immaginare un contesto e di utilizzarlo liberamente per la propria interpretazione.
Questo è importante se si osserva il meccanismo di passaggio da una videata all'altra nel progetto di CD-ROM da me sviluppato.
Spesso il contesto o il cambiamento di contesto di un'immagine nel passaggio dalla versione cartacea a quella elettronica costituisce la vera differenza d'interpretazione possibile che viene data all'immagine stessa.
Si tratta quindi di formulare una serie di possibilità alternative di fruizione dello stesso materiale che è stato in un certo senso constestualizzato nella versione cartacea, anche solo nel momento in cui si è deciso di impaginare fisicamente quella determinata immagine ad esempio, nel numero che parla di ecologia, nell'argomento cibo.

 Non bisogna tuttavia, continua Gombrich, mai cedere alla tentazione di dimenticare che anche in questi casi il contesto si deve appoggiare a delle aspettative preesisitenti, fondate sulla tradizione. Se si interrompe questo legame si interrompe anche la comunicazione.

 Qual'era l'obiettivo che mi ero posta all'inizio della mia ricerca?
Era comunicare?
Gli obiettivi che mi ero posta erano due.

 Da una parte dimostrare come l'uso delle nuove tecnologie potesse potenziare e migliorare gli obiettivi comunicativi di COLORS Magazine e dall'altra dimostrare che gli obiettivi comunicativi di COLORS cartaceo si discostavano dalle regole canoniche di comunicazione perché sceglievano di utilizzare come strumento primario un medium visivo.
Se per interrompere la comunicazione si intende quindi interrompere quel tipo di comunicazione a cui siamo da sempre abituati, fondato su regole e convenzioni ben precise, quali la coerenza, la coesione, la pregnanza, ecc... allora credo che l'obiettivo principale di COLORS Magazine e della mia ricerca siano stati raggiunti.
Il fatto che la comunicazione sia stata interrotta è indubbio.
Per lo meno è assodato che il tipo di comunicazione proposto ha riscontrato notevoli critiche e polemiche e che, al di là di ogni opinione sulla bontà o sulla cattiva fede di chi la produce e degli obiettivi per cui la produce, viene considerata di dubbio valore informativo.

 2.3.4. Il problema dell'intenzionalità

Il genere d'informazione che si estrae da un'immagine può essere del tutto indipendente dalle intenzioni del suo autore.
Per fedele che possa essere un'immagine usata per trasmettere delle informazioni visive, il processo selettivo rivelerà sempre un'interpretazione da parte dell'autore nella scelta di ciò che considera importante.
Si può dire infatti che l'immagine non "riproduca" la realtà ma la "rappresenti" attraverso alcune rarefazioni e certi mutamenti che sono vere e proprie convenzioni culturali, per nulla innate e naturali.
Si tratta di un linguaggio che, a differenza di quello verbale-concettuale legato a rapporti di convenzione codificati, si esprime grazie a una "naturalità" di rappresentazione.
La naturalità di rappresentazione è però frutto di un intervento tecnico particolarmente sofisticato e tale da provocare profonde mutazioni sul piano dei significati.
Il soggetto del processo di significazione, cioè l'individuo recettore, entra in rapporto una volta con il referente (l'oggetto reale), un'altra volta con la sua immagine tecnica (la fotografia), mentre questi ultimi due non sono rapporto fra loro.
Il passaggio dalla "forma" della realtà a quella dell'immagine, cioè la "deformazione", sarà perciò il frutto dato da un procedimento necessario e non eludibile per l'autore a causa delle oggettive resistenze degli apparati tecnici, ma insieme il risultato di un processo volontario del professionista della comunicazione, il quale consapevole di quei filtri tecnici deformanti ma comunque inevitabili, se ne serve in senso funzionale agli obiettivi di contenuto comunicativo che intende veicolare.

 Per dimostrarci con quanta prontezza impariamo ad adeguarci al codice e ad accettarne le convenzioni, Ernst Gombrich ci mostra un'incisione dell'artista francese Claude Mellan in cui una sola linea a spirale veniva composto il viso di Cristo, utilizzando le variazioni di spessore della linea per indicare le forme e le ombre .
In questo caso, a differenza della fotografia a colori, non abbiamo alcuna difficoltà , contrariamente a ciò che sostiene un famoso slogan, a distinguere tra il mezzo e il messaggio.
Dal punto di vista dell'informazione, questa distinzione è molto importante; la fotografia a colori ci lascia sempre incerti sul valore informativo: in essa non riusciamo a separare il codice dal contenuto.

 2.3.4.1. Il mondo ottico

Mentre un resoconto verbale ha bisogno di assicurarci che pretende di descrivere uno stato del mondo esistente, la rappresentazione figurative senza titolo può riferirsi facilmente tanto ad una costruzione davvero esistente come a un'immagine della memoria, a un progetto o a una fantasia. Allo stesso modo:

 "Mentre le mappe ci danno un'informazione selettiva sul mondo fisico, le immagini, come gli specchi , ci trasmettono il manifestarsi di un aspetto qualunque di quel mondo, nel modo in cui esso varia insieme alle condizioni di luce, e si può dire, perciò, che esse forniscano informazione riguardo al mondo ottico."

L'obbiettivo della macchina fotografica non fa altro che trascrivere semplicemente i dati ottici che intervengono nell'esperienza visiva.
In altre parole traccia una mappa del mondo ottico disegnando le sensazioni visive che vi corrispondono.
Occorre però differenziare "l'esperienza visiva" dalla "rappresentazione visiva" per il diverso tipo di informazione che possono fornire.
Vi è infatti la tentazione di guardare al "mondo ottico" come a qualcosa di dato.

 2.3.5. La società dell'immagine

Alcuni definiscono la nostra come la civiltà dell'immagine, altre come la civiltà della scrittura, altri hanno predicato la nascita del villaggio globale, il ritorno ad una civiltà dell'oralità di secondo grado promossa dalle tecnologie elettroniche. Una civiltà certamente molto visiva, anche se ormai almeno audio-visiva, se non addirittura multisensoriale, come promettono le sperimentazione della realtà virtuale.
Si tende comunque a enfatizzare il peso della visione nella nostra vita quotidiana e nello scenario del nostro futuro tecnologico.
Contro tutto questo fronte interpretativo c'è pero chi oppone una visione straordinariamente critica e parla di civilizzazione della cecità, di civilizzazione dell'oscuramento.
L'osservazione serrata di tutta una serie di fenomeni della società e della tecnologia, ha portato ad esempio Paul Virilio, un urbanista francese che si definisce dromologo, studioso della velocità, a diventare una di queste voci critiche.
Secondo Virilio l'accelerazione di tutti i processi singolarmente, e di tutti i processi nel loro insieme, provocata nella nostra cultura dall'innovazione tecnologica diffusa, inducono la progressiva sostituzione di instantanei processi di commutazione ai normali processi di comunicazione, dove il ritmo è ancora relativamente lento.
Il tempo della commutazione è scandito dalle apparecchiature elettroniche, il ritmo della comunicazione è determinato invece dagli organi e dalla mente dell'uomo.
Il mondo che ci circonda appare allora come un mondo della disforia, cioè sostanzialmente della depressione, determinata da una sostanziale povertà della comunicazione, e addirittura da una sostanziale deprivazione del piacere sensoriale.
E per quanto ci riguarda più direttamente, e cioè specificamente a proposito delle immagini:

 "esse sono sempre meno figure, e sempre più stimoli, attivati per fare scattare immediate reazioni, come avviene nei riflessi condizionati..."

Le immagini sembra che stiano perdendo il loro spessore, la profondità dei loro significati possibili. Mentre una singola figura poteva essere analizzata e interpretata per ore, ora invece le immagini si appiattiscono, diventano materiale grezzo, semplice semilavorato, scarti, avanzi per un continuo collage superficiale.
I dispositivi e le tecnologie elettroniche, dal canto loro, non fanno che incrementare questa sensazione, producono un effetto complessivo di irrealismo, generano un'illusione di dematerializzazione.
Tutto sembra avvenire per magia, in uno spazio piatto, o anche nella profondità del virtuale, poco importa, in uno spazio comunque privo di consistenza.
Basta porsi di fronte a un computer dotato di un software di elaborazione grafica per rendersi conto di come si possa creare o manipolare un'immagine e cambiarne colori, forme, significati. La domanda che mi sorge spontanea è:

 2.3.6. Ma non sarà poi quello che abbiamo sempre cercato?

Ogni società consumistico-autoritaria tende ad esigere una cultura basata sulle immagini, secondo una logica di velocità e d'impazienza che scandisce il ritmo disarmonico della nostra esistenza.
L'immagine destinata a un rapido consumo ben si accorda con le esigenze volubili e insaziabili d'individui che non hanno molto tempo per soddisfare i propri bisogni di realtà e di conoscenza; in altre parole di conoscere il reale e di dare una realtà concreta ai propri desideri di conoscenza (umani, scientifici, artistici).

Un tale tipo di società ha bisogno di elargire grandi qualità di svago per stimolare il consumo e lenire le ferite prodotte da meccanismi sociali fondati sull'ineguaglianza e sull'oppressione dell'uomo a causa delle differenze materiali, sessuali, razziale.
E tale società ha bisogno di accumulare quantità sterminate d'informazioni allo scopo di sfruttare la natura, di aumentare la produzione, di mantenere la pace sociale e di fare (e giustificare) le guerre per la sopravvivenza dell'industria degli armamenti.
La risposta ideale a tali esigenze e la maniera ideale di rafforzarle risiedono, anche, nella duplice capacità della macchina fotografica di soggettivare la realtà e di oggettivarla.
Le macchine fotografiche (e i loro derivati cine-televisivi) definiscono la realtà nei due modi indispensabili al funzionamento di una società industriale tecnologicamente avanzata: per le masse in quanto spettacolo, e per i governanti - come strumento di controllo, di sorveglianza, di manipolazione nei confronti dei dominati (le classi lavoratrici, gli studenti, i bambini...)
In tal modo le immagini fotografiche dei rotocalchi o quelle televisive che portano il mondo a domicilio, in realtà trasformano e manipolano gli eventi fino a provocarne una loro conversione in merci, in prodotti sociali.
La società delle immagini tende come ha suggerito Susan Sontag, "a sostituire il mutamento sociale col mutamento continuo o mistificatorio delle immagini stesse, diffondendo l'ideologia dell'identificazione del progresso reale col mutamento di superficie prodotto dall'estetizzazione generalizzata del processo iconico."
Nelle società di massa la libertà di consumare una molteplicità enorme di immagini o di prodotti viene identificata con la libertà tout court.
L'illimitatezza della produzione e del consumo di immagini è determinata dall'ideologa stessa di questa società, in cui la libera scelta politica sembra essersi immiserita o ristretta al libero e indiscriminato consumo economico, ovvero al processo del consumismo.

Una posizione similmente pessimistica viene sostenuta dal filosofo francese Jean Baudrillard che, a partire dal 1968 scrive alcuni saggi dedicati alla pubblicità e al rapporto esistente tra la società e la comunicazione.
Egli nei suoi scritti sembra cogliere in maniera acuta le falle del sistema della comunicazione riconoscendo il motivo portante della decadenza del sistema pubblicitario.
Sembra che Baudrillard voglia affermare che, se l'informazione viene considerata merce esattamente come l'Anitra WC, qualcosa del sistema finirà per produrre effetti devastanti.

 Essi consistono in primo luogo nella sostituzione della realtà con un suo simulacro, nell'uso della seduzione e della fascinazione e di strategie di controllo e manipolazione del linguaggio.
La comunicazione pubblicitaria, nella quale l'informazione ha grado zero, viene sostituita dalla comunicazione informatica, un simulacro elettronico ancora più pericoloso e anch'esso privo di capacità informativa.
Ai tempi della réclame - afferma - il sistema della pubblicità era il mezzo di comunicazione più potente; il significante e il significato rimandavano concettualmente a un referente realmente esistente, alla realtà di un oggetto o di un evento.
Questo tipo di rimando non ha più senso di esistere; ora il referente reale si stacca sempre di più dal segno, lasciandolo libero di fluttuare nell'immaginario collettivo, senza più obblighi se non quello della circolazione incessante.

 Il segno è svincolato completamente dall'obbligo di designare qualcosa di reale. Ciò comporta non soltanto un radicale cambiamento della dialettica tra significato e significante , ma anche di quella tra mittente e destinatario della comunicazione, rendendo così sempre più difficoltosa la trasmissione di informazioni nel processo comunicativo e mettendo in crisi il modello di comunicazione di Roman Jakobson, che per primo ne aveva proposto una formulazione organica.
Lo stesso Baudrillard parla di "l'implosione di senso", che aggiunge una specifica all'emancipazione del segno.
Baudrillard nel 1968 con il volume Sistema degli oggetti, tenta sotto l'influenza determinante sia del pensiero strutturalista di Lèvi-Strauss che della semiologia di Saussure e Barthes, di analizzare la società dei consumi attraverso i messaggi emessi dalle merci che la costituiscono.
Se si prova ad utilizzare questo stesso sistema per analizzare i prodotti del mercato di oggi si intuisce ciò a cui Baudrillard si riferiva: il significato veicolato da ogni oggetto, simbolo o segnale, invece di esplicitarsi nella sua performance, implode in se stesso, invece di rimandare a qualcosaltro contiene le informazioni, le trattiene nella sua stessa espressione.

 Questa affermazione mi fa balzare alla mente che Benetton usa l' "immagine" per comunicare la sua "immagine", non i suoi prodotti. Avete mai visto un maglione nelle ultime pubblicità Benetton?
Un quadratino verde in alto a destra di un immagine di sei metri per tre con una piccola scritta in bianco "United Colors of Benetton" rimanda a tutta una filosofia che non si esplicita in nessun modo se non nell'inferenza di ogni singolo lettore.
Il sistema di comunicazione, allo stato attuale delle cose, è in grado di produrre realtà artificiali e di suscitare nel fruitore meccanismo inferenziali che sembrano essere naturali o spontanei ma che in realtà sono prodotti artificialmente dai mezzi di comunicazione stessi.
Tale processo però, secondo lo stesso Baudrillard, è andato avanti a tal punto che attualmente l'unica esperienza possibile per gli individui sta diventando quella del presente storico prodotto dai media.
Si verifica una scomparsa progressiva della realtà, coperta da una rete di segni autolegittimantisi, secondo una intercambiabilità totale che abolisce il senso e che non permette più di distinguere tra reale e modello di riproduzione del reale, tra realtà e artificio, tra vero e falso.
In questa visione apocalittica di Baudrillard, i media lavorano contemporaneamente alla produzione di senso e alla sua liquidazione, alla produzione di sociale e alla sua neutralizzazione, almeno Il risultato è che si mette in azione una spirale paradossale, nella quale più si produce informazione più si aumentano l'entropia e il disordine del sociale.
Si può affermare questo per tutta la comunicazione?
Si può forse affermare che esistono alcuni tipi di comunicazione che hanno come scopo primario quello di informare?
Di può dire che COLORS ricade tra queste forme di comunicazione?

 2.3.7. L'obiettivo della comunicazione...

Sicuramente esiste un tipo di comunicazione istituzionale che ha come obiettivo fondamentale quello di trasmettere delle informazioni.
Ma un'informazione pura e non mediata è un'informazione poco fruibile, nel senso che rischia di essere povera, scarna, poco affascinante, e chi conosce "Onda Verde", per esempio, sarà probabilmente d'accordo con me.
Onda Verde è un programma radiofonico che informa i viaggiatori sullo stato delle strade, sulle condizioni del tempo, sugli eventuali incidenti o blocchi di vie ad alta percorribilità, autostrade, per questo motivo lo slogan della trasmissione recita: Viaggiare informati.
L'informazione per essere fruita deve essere in qualche modo attraente, anche se non necessariamente contraffatta.
A questo punto vado incontro a una serie di equivoci linguistici dovuti al fatto che nel linguaggio comune vengono attribuiti dei significati diversi alle parole.
"Truccato" in gergo (e il vocabolario riporta anche questa definizione) significa anche "contraffatto"; si può dire infatti di un motore a cui sono state apportate migliorie tecniche e meccaniche illegali per aumentarne le prestazioni. Si tratta di falsificazione, alterazione.
Ma in italiano "truccato" significa anche un viso che ha subito un procedimento estetico di abbellimento, un tipo particolare di abbellimento che non altera le caratteristiche estetiche della persona ma ne mette in evidenza le caratteristiche positive.
Occorre quindi trovare una mediazione, niente affatto manipolatoria, occorre riuscire a mantenere un equilibrio tra l'esigenza di comunicare e la necessità di attrarre l'interesse del fruitore perché un'informazione attraente è senza dubbio più fruibile e non per questo è "falsa".
Il pubblico d'altronde è il primo a richiedere un certo tipo di informazione, è più esigente, richiede un prodotto pensato apposta per lui e per le proprie esigenze di fruibilità, anche gli studenti cominciano a non guardare più di buon occhio i manuali pensati vent'anni fa, dove il nozionismo non lasciava spazio alla curiosità e alle immagini, ad un modo di apprendere intelligente e stimolante.

 2.3.8. ...e l'obiettivo di COLORS.

A mio parere COLORS soddisfa le esigenze di un pubblico attento.
Si preoccupa di informare senza annoiare, di rispettare il suo pubblico usando un tipo di informazione non manipolata ma "trattata", resa fruibile in modo interessante.
Mi si potrebbe ribattere che lo scopo fondamentale di tutta l'esperienza editoriale COLORS non è altro che una bieca operazione di marketing, che la rivista è stata creata con il solo scopo di rendere più visibile la pubblicità Benetton creata da Toscani, che veniva rifiutata in molte testate e che quindi la funziona manipolatoria dell'informazione è quasi emblematica.
Io risponderei che non sono d'accordo. Ovvero non nego che tutto ciò potrebbe corrispondere a realtà, non ne sono a conoscenza e in ogni caso credo che si stia parlando di un altro livello di informazione.
Ho più volte dimostrato, attraverso l'analisi delle caratteristiche della rivista, che si tratta di un prodotto editoriale atipico, fruibile da un pubblico che conosce il tipo di rivista ed esce di casa per andare a scovare un'edicola dove acquistarla.
E' un prodotto atipico già solo per questo fattore e perché il suo pubblico è costituito da un 80% di lettori abbonati, inoltre quasi esclusivamente stranieri.
Il suo obiettivo non è quindi attirare l'attenzione di chi non conosce la rivista per fare in modo che la acquisti, almeno non è un obiettivo primario, come non è primario l'obiettivo di un ritorno economico visto che si tratta di una rivista finanziata da un grande gruppo commerciale.
Parlo di diversi livelli d'informazione perché nel momento in cui cerco la rivista, la compro e la sfoglio so quello che mi viene propinato.
Esattamente come quando vedo una Pubblicità Progresso in televisione o sui giornali a proposito dell'AIDS o della droga e neanche per un momento penso che sia una trovata del governo per fare pubblicità a se stesso: in primo luogo perché lo so già inoltre perché lo accetto nel momento in cui il governo si è preoccupato di diffondere un messaggio come: "attenzione giovani, l'AIDS è un problema che non potete trascurare".
Accetto che il governo firmi il messaggio che trasmette, accetto che in quel modo pubblicizzi anche la sua immagine perché lo sta facendo per una giusta causa.
Non voglio assolutamente paragonare la Pubblicità Progresso a COLORS, anche se ritengo che i messaggi comunicati dalla rivista, indipendentemente da chi sia "il padrone", siano positivi, istruttivi, formativi, utili per chiunque abbia la necessità di essere informato in modo onesto.

 Ci sono alcuni numeri in cui questa sensazione si avverte in modo forte e diretto, ad esempio il numero "AIDS" o quello "WAR" ma anche "RACIES" e "ECOLOGY".
Per esempio sul numero 4 "razze", vengono date varie definizioni dei nomi con cui si usa chiamare certi gruppi di uomini da parte di certi altri. I francesi del Nord Africa usano chiamare i berberi e gli arabi "goat, caproni", i nepalesi del Tibet chiamano i tibetani "peasant, terroni", gli inglesi che vivono in Iran si rivolgono agli iraniani con l'appellativo "raghead, porta stracci", infine se sei un europeo il tuo nomignolo ad Haiti potrebbe essere "cacajumu, merda gialla", gli afroamericani potrebbero chiamarti "blue-eyed Devil, diavolo dagli acchi azzurri" e i nigeriani dirti che sei una strega.
Qui l'obiettivo è mettere, per una volta, il lettore nella condizione di "minoranza", fargli provare la sensazione di chi si trova nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, o di chi ha la pelle "del colore sbagliato". E' un meccanismo che in retorica chiameremmo ossimoro e che viene utilizzato con lo scopo di creare una sensazione di straniamento.

 2.3.9. Di che tipo di informazione stiamo parlando?

Ogni pagina di questo numero urla in faccia ai lettori:

 "Ehi, ragazzi, ascoltate: le differenze tra i popoli e gli individui sono la risorsa più preziosa che l'umanità possiede... provate ad immaginare un mondo dove tutti avessero lo stesso aspetto, e parlassero, pensassero allo stesso modo. Tutto, ma proprio tutto - sesso, film, partite di calcio - diventerebbe una noia mortale."

 Il modo migliore, a loro parere, per trasmettere un'informazione come questa è dimostrarlo attraverso questi meccanismi, usando il cibo e mostrando che nel sud-est asiatico il riso si mangia con gamberetti e scarafaggi e che bruchi freschi e larve di palma sono in vendita al mercato centrale di Kinshasa, nello Zaire.

 Sappiamo che ciò che differenzia la merce dagli altri beni è il fatto che la merce è un bene economico, ovvero è finito, esauribile e in quanto tale sottoposto a una domanda e a un'offerta che oscillano sul mercato.
Su un articolo apparso sul mensile "Wired" dell' ottobre 1993, di Peter Drucker e tradotto da Franco Berardi nel suo ultimo libro , si analizzano le categorie dell'economia immateriale e si afferma con considerazioni radicali l'obsolescenza delle categorie economiche moderne a fronte della nuova realtà produttiva legata alle tecnologie digitali:

"La teoria economica internazionale è obsoleta. I fattori tradizionale della produzione (terra, lavoro e capitale) stanno diventando dei limiti piuttosto che delle forze trainanti. La conoscenza sta diventando il solo fattore decisivo della produzione. Essa si manifesta in due forme: la conoscenza applicata come produttività, e la conoscenza come innovazione. La conoscenza è divenuta la risorsa chiave che non conosce alcun limite geografico.."

e ancora

 "...quando il fattore essenziale della produzione diverrà l'intelligenza, tutto quanto dovrà essere ripensato perché l'intelligenza non è definibile come una risorsa scarsa, ovvero come un bene economico".

Una delle conseguenze più significative di questa trasformazione sarà la perdita di significato di alcune categorie fondamentali dell'economia:

 "dobbiamo ripensare l'intero concetto di proprietà intellettuale che è nata sulla parola stampata... L'unica soluzione può essere un sistema di licenza universale. In questo sistema ciascuno diviene sottoscrittore, e ciascuno deve sapere con certezza che quello che viene pubblicato può essere riprodotto. In altre parole, se non vuoi che qualcuno lo sappia, non parlarne"

In conclusione acquistare un maglione Benetton può significare diventare sottoscrittore di una ideologia, sentirsi parte di una comunità che condivide obiettivi comuni.
In certi casi, come in questo, afferma: "esistono merci che valgono la pena di essere acquistate"(per i messaggi che veicola, per la "moralità", perché si occupa dei problemi razziali, perché sostiene la lotta contro l'AIDS, ecc..).
Si tratta di un meccanismo nuovo, un meccanismo creato appositamente per un pubblico esperto, quasi "addetto ai lavori"; di una comunicazione creata in un'epoca in cui, sorpassato il consumismo che aveva incoraggiato l'accumulazione dei beni di consumo fino alla saturazione, sorpassata l'illusoria promessa di felicità da parte delle aziende, oggi esse hanno capito che ciò che era promettere era la qualità dei loro prodotti.
Questo meccanismo avviene attraverso l'uso della pubblicità di qualità (e dei relativi investimenti stratosferici) e la creazione di prodotti personalizzati.

 2.3.10. Essere sensibili all'informazione

In generale credo si stia parlano di acquisire una certa sensibilità nei confronti dell'informazione e nel capire a fondo quali sono le sue caratteristiche e potenzialità.
Essa deve essere usata con più cura e più rispetto, per garantire una fruizione più corretta.
Questo non significa limitarne l'utilizzo, relegarla ad una fascia di pubblico con determinate caratteristiche sociali o possibilità economiche, semplicemente essere coscienti che l'informazione ha un valore e un'etica, delle regole da rispettare.
Se la macchina della pubblicità ragionasse in questi termini avrebbe la possibilità di parlare dei prodotti in modo appetibile e interessante senza doversi "truccare" prendendosi gioco di un pubblico che non è disposto a porsi in termini critici davanti alla televisione nel momento in cui si siede in poltrona per trascorrere le ultime ore di una faticosa giornata di lavoro.


[ALBUM] [RISORSE] [SEMINARIO] [NEWS]