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Capitolo tre:
"HOT COLORS", una proposta operativa.

3.1.1. Perché HOT COLORS

 HOT COLORS è il nome indicativo e referenziale con cui ho voluto, in questa sede, chiamare il mio progetto di sviluppo di un CD-ROM su COLORS .
Si tratta infatti di un progetto teorico per il quale non era a mio parere necessario definire un nome reale e utilizzabile; il nome doveva avere delle peculiarità che delineavano l'idea ma non doveva preoccuparsi di una certa originalità o di scelte di mercato che, per un marchio o un logotipo, comportano una serie di limitazioni o fattori da tenere in considerazione quali la riconoscibilità, la coerenza e la coesione , la facilità di memorizzazione, la referenza, la capacità di sintetizzare molteplici aspetti connessi alla strategia di mercato predisposta per quel prodotto.

Il nome HOT COLORS è il risultato di una scelta che connota il progetto di alcune importanti caratteristiche che possono chiarire meglio le intenzioni di questa operazione.
E' il chiaro il riferimento a "HotWired", la rivista elettronica nata dall'esperienza editoriale di Wired Magazine.
"HotWired" non intende essere considerato come la versione elettronica di Wired, ma come un mezzo per mettere in contatto la Wired community ovvero i lettori abituali di questo mensile.
Infatti l'obiettivo è quello di creare una sorta di luogo virtuale nel quale in tempo reale i lettori possono scambiarsi informazioni e commenti e possono comunicare con lo staff, contribuire alla redazione degli articoli, creare gruppi di discussione su determinati argomenti attraverso le live chat e partecipare a brain storming organizzati per dibattere su nuove idee per HotWired.
Wired Online intende valorizzare l'esperienza della lettura di un magazine digitale creando dei database, dei motori di ricerca intelligente, degli indici di pubblicità e compagnie, indici delle edizioni straniere di Wired e dei siti Web di editori, collaboratori e lettori che permettano al fruitore un consultazione più rapida, vicina alle sue esigente, più assistita.

L'esperienza di Wired può essere interessante dal mio punto di vista per osservare come cambia l'informazione, il suo trattamento, la sua presentazione, nonostante COLORS MAGAZINE abbia obiettivi comunicativi diversi e utilizzi una linea editoriale che non può essere messa in relazione a quella di Wired.
Ciò che rende le due testate assimilabili per alcuni versi non è dato da un fatto oggettivo, bensì dal fatto che i lettori di Wired, almeno in Italia, fanno parte di un ristretto gruppo di addetti ai lavori, persone che si interessano ai meccanismi della comunicazione e che quindi possono trovare in COLORS degli spunti interessanti.

 Il secondo motivo per cui ritengo opportuno chiamare il CD-ROM "HOTCOLORS" è indirettamente collegato a Wired, alla scelta del suo nome in onore del "Santo patrono della rivista", Marshall Mc Luhan. E' noto come Marshall Mc Luhan abbia introdotto una definizione di "medium caldo" e "medium freddo" che è entrata a far parte della storia della comunicazione a tutti gli effetti, nonostante il suo stile non lineare utilizzato come prova della forza del ragionamento di tipo orale, renda difficoltoso percepirne alcune intuizioni fondamentali.
Mc Luhan afferma che con l'ingresso della società nell'era elettrica si è verificato un complessivo raffreddamento dei mezzi di comunicazione. La nuova strutturazione e configurazione elettrica della vita s'oppone sempre più agli antichi procedimenti frammentari e lineari e agli strumenti d'analisi dell'era meccanica.

 "Il primo effetto della tecnologia elettrica è stato l'ansia. Quello attuale sembra sia la noia. Siamo inizialmente passati per le tre fasi - allarme, resistenza, spossatezza - che si verificano in ogni malattia e in genere di fonte a ogni situazione critica, individuale o collettiva (...) possiamo dire che era calda l'epoca ormai passata della meccanica, mentre siamo freddi noi dell'era televisiva..." .

 In un articolo di Wired che riportava una presunta intervista via posta elettronica con Marshall Mc Luhan , Gary Wolf chiedeva a "Saint Marshall", se pensava di definire freddo o caldo il Web e in generale come si poneva nei confronti delle nuove tecnologie digitali:

 "The Web is cool . Cooler than television, which is much cooler than print. So much participation is required on the Web that no coherent, convincing, sharply definited characters can be created without slipping into comedy or conspiratorial paranoia. Conventional media, like TIME magazine, have to get this right if they want to be successful (...)"

La tesi che voglio sostenere consiste nel fatto che oggi ci troviamo nuovamente di fronte a un cambiamento di paradigma.
L'era della televisione con tutte le sue implicazioni positive e negative può essere considerata il passato mentre ci troviamo sulla soglia d'ingresso di un'era nel quale si intravvede un nuovo surriscaldamento dei media.

 Il termine interattività è forse l'emblema di questa nuova fase.
Le nuove tecnologie digitali stanno dando l'opportunità di progettare e realizzare delle applicazioni, tra le quali i sistemi ipertestuali, che consentano una forte iterazione tra l'uomo e la macchina, una rinata partecipazione attiva del lettore, fino alla vera e propria coproduzione lettore/scrittore.
In realtà occorre porsi tutta una serie di problemi che ben analizza Charles Platt in un articolo di Wired intitolato Interactive Entertainment nel quale mette evidenza il fatto che non è così scontato che il pubblico sia interessato a interagire con altri, altre forme di sé, quanto semmai possa essere ancora legato ad una fruizione tradizionale, non interattiva, come quella di libri, video, film, radio.
Inoltre emerge specialmente negli Stati Uniti una esigenza da parte del pubblico di "essere intrattenuti" più che di utilizzare degli strumenti, per lavoro o per svago, che richiedono la partecipazione attiva del fruitore.
Janet Murray direttrice del Laboratory for Advanced Technology in the Humanitie al Mit, mette in evidenza il fatto che a suo parere il pubblico adulto ha già accettato l'esistenza e la presenza di "non linear storytelling" in varie forme.
Già Marshall Mc Luhan, dice, ha parlato molto di strutture a mosaico come può essere per esempio il quotidiano di oggi, o il modo in cui le storie vengono raccontate nei film.
La prossima fase che possiamo a ragione supporre che incontreremo sarà costituita dalla partecipazione.
Che cos'è lo zapping se non una forma primitiva di partecipazione?
La partecipazione trascende dalle scelte del montaggio e allo stesso tempo ne costituisce una sua evoluzione.
Essa è nata dalla cultura del montaggio e può essere considerata una forma di montaggio individuale.
A mio parere ciò che potrebbe rendere accettabile da parte del pubblico fruire di prodotti interattivi ed interagire con essi in ambienti tridimensionali completamente estranei alla realtà in cui vivono sarebbe sincronizzare la storia con i comportamenti del fruitore, tentare di capire tempi e "mosse" di un fruitore non esperto e adattare il prodotto al tipo di ricezione a cui è sottoposto.

 In merito alla produzione di prodotti che utilizzano i parametri e gli strumenti delle nuove tecnologie George P. Landow parla di scrittura in collaborazione , nel senso che il lettore attivo coopera con l'autore nella produzione di un testo attraverso le sue scelte.
Nonostante l'America Heritage Dictionary of the English Language riporti come definizione del verbo collaborate "lavorare insieme, specialmente in attività intellettuali", la maggior parte del lavoro intellettuale svolto attraverso una collaborazione di più individui vede scontrarsi contro una difficoltà di vedere riconosciuti dei diritti d'autore, inoltre la tecnologia dell'informazione da Gutemberg ai nostri giorni - la tecnologia del libro - ostacola sistematicamente un pieno riconoscimento della scrittura in collaborazione.
In effetti, come hanno sostenuto molti studiosi, da Mc Luhan a David Bolter , la tecnologia del libro e gli atteggiamenti che essa incoraggia sono le istituzioni più responsabili del mantenimento delle esagerate nozioni di individualità, unicità e proprietà d'autore, nozioni che spesso falsificano drasticamente la concezione di contributo originale nelle discipline umanistiche, e veicolano immagini distorte della ricerca.
Il sistema ipertestuale può rivelarsi in questo senso il più adatto a giustificare e sostenere un tipo di scrittura che non ha autori nel senso convenzionale del termine.
Landow propone di considerare l'ipertesto come uno strumento di scrittura che trasforma l'autore in un curatore o sviluppatore e l'ipermedia come una produzione di gruppo, che deve essere opportunamente tutelata.

 La proliferazione di testi in forme multiple, senza un chiaro confine tra le prime stesure e le versioni finali stampate, potrebbero portare alla fine di ogni identificazione di ciò che è "la letteratura del mondo". Per il copyright le implicazioni sono fondamentali. I concetti generalmente accolti riguardo al copyright sono obsoleti, radicati come sono nella tecnologia della stampa: il suo riconoscimento e la prassi del pagamento dei diritti d'autore sono emersi con la stampa.
Con l'avvento della riproduzione elettronica, questa prassi è diventata impraticabile.
L'editoria elettronica è analoga non tanto alla tipografia del secolo XVII quanto al mondo della comunicazione orale, al quale il copyright non è ai stato applicato .

 Il progetto che prevede la realizzazione di un CD-ROM sulla rivista COLORS nasce da una serie di circostanze tra le quali il mio interesse verso un corretto e sperimentale accostamento di determinati contenuti a specifici mezzi di comunicazione.
Ciò che aveva colpito la mia attenzione, ancor prima di intravvedere la possibilità di impiegare parte del materiale pubblicato su COLORS per la creazione di una struttura ipermediale, era stato l'uso che la rivista faceva dei propri contenuti.
Dall'impostazione grafica, alla scelta delle immagini, al tipo di formato, tutto dava come l'impressione di una ricerca di sperimentazione comunicativa che, fermo restando l'uso del mezzo cartaceo, ne metteva in discussione le caratteristiche più ortodosse.
Mi chiesi se era possibile eliminare anche quest'ultimo ancoraggio, offrire al lettore un prodotto veramente nuovo, che da una parte agevolasse l'impulso già presente all'interno della rivista di sperimentare nuovi linguaggi, parlasse al fruitore utilizzando nuovi strumenti, e dall'altra parte tentasse di collaborare nel diffondere una fiducia ancora insperabile nell'utilizzo delle nuove tecnologie.
D'altra parte è vero che se esiste un certo scetticismo nei confronti dei nuovi supporti tecnologici e nel modo in cui questi veicolano l'informazione è anche presente in modo forte e innegabile una certa curiosità e, in certi casi, una vera e propria richiesta di una tecnologia nuova, che possa supportare un'informazione ipermediale.
L'idea dell'ipermedialità non è un concetto nuovo.
Il primo serio tentativo di realizzazione di un sistema ipertestuale risale al 1968 quando Engelbart e English hanno introdotto il sistema Augment per poter gestire una lettura e scrittura strutturata dei documenti.
L'evento scatenante nello sviluppo della tecnologia ipermediale si è verificato nel 1987 a Chapel Hill dove si è tenuto il primo convegno sull'ipermedialità (Hypertext 1987).
Da quel momento in avanti si è verificata una continua crescita sia nell'interesse sia nella produzione di sistemi ipermediali, con numerosi prototitpi e veri e propri sistemi ipermediali commerciali che hanno visto una continua crescita, come dimostrato, per esempio, da Hypercard sviluppato per i sistemi Apple Macintosh.
Le ragioni che stanno alla base di questo interesse sono di diversa natura e fra queste non bisogna tralasciare lo sviluppo della tecnologia legata alla memorizzazione di grandi quantità di informazioni che avrebbe contribuito ad eliminare i problemi relativi alla conservazione e catalogazione di enormi moli di materiale.
Inoltre, l'ipermedialità è in grado di consentire una nuova libertà di consultazione all'utente e una serie di possibilità di gestione delle risorse che va dalla scelta di un percorso di lettura personalizzato alla possibilità di modificare interi documenti, aggiornarli e attraverso di essi accedere ad altri documenti.

Nel mio caso specifico l'obiettivo era analizzare le caratteristiche peculiari di ogni singola nuova tecnologia che avrei potuto utilizzare come supporto del mio progetto, valutando le prestazioni che poteva offrire, i tempi di attenzione cosciente e scegliendo quella che si sarebbe meglio prestata a veicolare il messaggio di COLORS.
Ciò si traduceva materialmente nel capire come e in che termini sarebbe stato più appropriato trasmettere i valori e l'ideologia di COLORS, dall'importanza della diversità alla comunanza di tutte le culture, dallo scetticismo verso le forme ortodosse della comunicazione alla convinzione nel potere informativo dell'immagine, attraverso l'uso di particolari strumenti impiegati nella versione cartacea, come immagini e testo, ma anche di una serie di mezzi che ne avrebbero aumentato esponenzialmente la capacità comunicativa, utilizzando un mezzo diverso da quello cartaceo.
Non si tratta quindi di una semplice versione ipermediale, ma di un vero e proprio rifacimento, della creazione di un prodotto che proponesse una nuova fruizione, che fosse più visibile, che sfruttasse nuovi strumenti, che facesse leva su nuovi interessi e motivazioni.

 Alla base del mio progetto c'è una forte convinzione: l'immagine (o un particolare uso dell' immagine rispetto al testo) in "COLORS Magazine" costituisce il veicolo principale per la trasmissione dell' "informazione"; per questo motivo propongo dei percorsi alternativi di fruizione dell'immagine e, di conseguenza dell'intera concezione della rivista.

 3.1.2. L'esplosione dell'informazione

 Insieme all'entusiasmo e all'eccitazione verso la nascita e lo sviluppo di una nuova tecnologia le disquisizioni teoriche sono rimaste intrappolate in luoghi comuni ed eredità di mode passeggere.
Tra queste anche l'abitudine a considerare l'informazione come un'unità discreta, impassibile di cambiamenti, sottoposta a ristrette gerarchie e delimitazioni di significato.
Questo forse poteva essere accettabile nel passato ma nel ciberspazio, ed è in questo ambiente che si svolgono le "situazioni multimediali", non vi è alcuna territorialità che non sia proiezione, finzione, provvisoria delimitazione di un perimetro che non esiste.
"Nel ciberspazio le fonti di enunciazione girano, si spostano, scompaiono.
Nessuna enunciazione può essere stabilmente attribuita a un enunciante.
Il mondo proiettivo in cui viviamo comincia ad apparirci come il risultato di uno zapping nel quale componiamo sequenze di provenienza linguistica diversa, frammenti ermetici che funzionano come chiavi per aprire una porta oltre la quale non c'è che il vuoto" Non possiamo trarre sicurezze dalla realtà, perché la realtà non è che il quadro provvisorio delle illusioni alle quali siamo esposti.
Ecco allora che speriamo di trovare sicurezza nell'identità, nella continuità fanatica delle nostre proiezioni, nell'ossessione di una corrispondenza tra queste proiezioni e la realtà.
Da qui nasce il paradosso essenziale dell'epoca in cui viviamo: la proliferazione delle fonti di produzione segnica produce un effetto di esplosione della realtà.
Ma quanto più indefinibile e molteplice si fa la realtà nel gioco di specchi mediatico, tanto più accade che gli individui e i gruppi hanno bisogno di riconoscersi in forme di appartenenza semplice e rigida.
Può essere utile parlare di contaminazione come possibilità di un arricchimento conoscitivo ed esperienziale, e questo termine non mi risulta nuovo se osservo le esperienze del passato, come ad esempio le avanguardie storiche e se immagino un ambiente multimediale.
Il "testo" si frantuma in mille pezzi che costituiscono ognuno un'informazione diversa, che si esprime in una forma diversa e si mescolano tra di loro creando percorsi e interpretazioni diversi, per mezzo dell'associazione di idee, ad esempio.

"La scrittura convenzionale mira a creare gerarchie perfette. Non sempre però è facile mantenere un ordine entro queste strutture. A chiunque è capitato di sentirsi sopraffatto dalle idee mentre scriveva. E' lo stesso atto di scrivere a liberare un flusso di pensieri - una idea suggerendone un'altra e un'altra ancora - costringendo chi scrive a lottare per porli in qualche forma, prima che essi sfuggano al suo controllo conscio. `Vorrei poter scrivere con entrambe le mani' - osservava Santa Teresa - `in modo da non dimenticare una cosa mentre ne dico un'altra ."

 Nonostante le regole classiche della composizione letteraria, l'ordine usato, più che quello gerarchico o di rigida subordinazione appartiene a quello associativo.
Questi nessi associativi invece, possono definire organizzazioni alternative, costituire testi-nel-testo potenzialmente sovversivi, mettere in modo processi che chiamo di "emplosione dell'informazione".
"La vera scrittura elettronica non si limita al testo verbale, ma ha per oggetto gli elementi più diversi: parole, immagini, suoni o anche azioni che il computer è progettato ad eseguire"

3.1.3. Come la TV?

Si potrebbe pensare che l'introduzione di video-immagini nella comunicazione possa tradursi in un riduzione della scrittura elettronica in pura tele-visione.
Il testo scritto, in un prodotto televisio ha valore puramente d'immagine; nella maggioranza dei casi i messaggi scritti si limitano a rinforzare il messaggio parlato o a decorare confezioni di prodotti pubblicizzati.

 "Gli ipermedia, al contrario, rappresentano la vendetta del testo sulla televisione"

nel senso che il testo qui non può e non deve avere una funzione marginale.
Se da un lato questa affermazione può apparire consolatoria verso i difensori della tradizione che impongono una particolare venerazione nei confronti del testo scritto come massimo rappresentante e veicolatore dell'informazione e della cultura, dall'altro sarei tentata di negare l'affermazione appena fatta: il testo può e deve avere un ruolo marginale anche nella comunicazione che utilizza le nuove tecnologie.

Liberarsi dalla costrizione dell'uso di un codice per comunicare può essere un primo passo per liberarsi da una serie di griglie mentali che limitano la creatività nel momento in cui si decide di utilizzare uno strumento che offre opportunità nuove e disparate.
In questo senso si può dire che la fruizione ipermediale di COLORS comporterebbe una naturale evoluzione della versione cartacea.
Forse quello che ha sempre contraddistinto COLORS è stato proprio l'uso di un mezzo di comunicazione tradizionale, la carta, all'interno del quale il testo come unità informativa aveva un ruolo tutt'altro che tradizionale, semmai ne veniva sconvolta e sovvertita la sua funzione, apparentemente relegata a quella di didascalia.
Nella creazione di un ipermedia ho deciso di mantenere per il testo lo stesso ruolo che gli era stato affidato nella versione cartacea, non perché fosse dettato da una certa coerenza semplicemente perché a parità di ruolo del testo-codice, l'applicazione su due mezzi di comunicazione diversi poteva meglio fare emergere la differenza di fruizione ed i parametri con cui occorre valutare ogni singolo pezzo del puzzle.
Il testo infatti, nel progetto da me sviluppato, ha un ruolo sorprendentemente nuovo, pur mantenendo le stesse caratteristiche che aveva nella versione cartacea.

 3.1.4. Ritmi, velocità e tempi di esposizione del nuovo mezzo

 A parte la creazione del prodotto, il reperimento del materiale, la sua selezione, contestualizzazione e gestione, la fruizione dell'informazione ipermediale ha tempi assolutamente nuovi e imprevisti.

 Il mondo naturale mandava segnali lenti, di cambiamento ciclico e prevedibile.
Anche il mondo umano era omogeneo, tradizionale: l'innovazione aveva tempi lentissimi.
Uno dei mutamenti più traumatici verificatisi nel ventesimo secolo consiste proprio nell'accelerazione enorme della circolazione di segnali che stimolano l'apparato neurosociale, la moltiplicazione delle fonti di emissione informativa e quindi la massa di dati che raggiungono la mente.
La consultazione e la possibilità di accesso immediato ad una quantità di informazione enorme, crea una sensazione di confusione e straniamento che è stata chiamata overhead cognitivo, e consiste nel forte impegno e concentrazione necessari per utilizzare questi strumenti, oltre alla tendenza a smarrire il senso della propria posizione e della direzione in un documento non lineare.
In primo luogo è quindi importante ribadire che una tale mole di dati in entrata non può più essere elaborata in maniera sequenziale, nè tantomeno utilizzando i vecchi strumenti di consultazione.

 Per quanto riguarda COLORS, il progetto di CD-ROM non è il frutto di un'esigenza dovuta all'imponenza del materiale da consultare o alla necessità di reperire un'informazione particolare che spesso è legata alla necessità di compiere ricerche entro un breve periodo di tempo.
La proposta scaturisce dal tentativo di creare delle soluzioni innovative anche per quel materiale che probabilmente non esige la presenza di uno strumento che suppporti la fruizione, nel senso che COLORS è considerato una pubblicazione informativa solo parzialmente e in generale viene fruita per svago, per motivi estetici, per la sua possibilità di praticare una lingua straniera avendo il testo inglese a fronte in ogni pagina.
Ciò non implica che la soluzione possa offrire un netto miglioramento anche suo uso.

 I tempi di fruizione costituiscono uno dei motivi fondamentali per cui ho scelto, in seguito ad una accurata ricerca sul materiale a mia disposizione e a una approfondita esperienza di consultazione di informazioni e di prodotti editoriali on-line, di proporre la creazione di un CD-ROM invece che di un sito Web.
Come tutte le persone che hanno un po' di esperienza di "navigazione" su Internet sanno, il World Wide Web è lento.
In particolare il Web è lento se si tratta di trasportare oggetti non testuali quindi immagini, suoni, animazioni, grafici.
Anche se a quanto mi risulta non esistono ancora delle ricerche scientifiche che offrono una visione statistica dei tempi di attenzione di un pubblico fruitore di diversi mezzi di comunicazione è facile intuire come sia altamente sconsigliato proporre al pubblico un sito nel quale la presenza massiccia di immagini renda la fruizione molto difficile o impossibile .
David Rothernberg , editore di "Terra Nova" un giornale statunitense sulla natura e sulla cultura, afferma che è importante imparare ad apprezzare anche le imperfezioni della rete, e ad utilizzare i tempi morti di attesa per svolgere delle piccole mansioni organizzative o addirittura incoraggiare "pratiche meditative" invece di rimanere inermi difronte alla sensazione dell'attesa.

 "Why not make the wait worthwhile? Put up images that bear some reflection, ask questions, invite slowed-down, considered response. Make each picture a puzzle, each line of text a poem. Leave things to reflect upon during the long time it takes to connect to the world. Instead of pretending that the computer is lightning quick and offers instant opportunity, admit that it is a slow, imperfect, evolving machine..."

La comprensione è l'elaborazione cosciente dalla conoscenza da parte dell'organismo.
Perché si possa compiere il passaggio dall'informazione alla conoscenza occorre che l'organismo possa registrare il flusso informativo secondo le sue modalità e i suoi tempi.
Quando l'organismo è esposto a un flusso iperveloce di informazioni, la sua capacità di registrazione è sopraffatta.

 L'ipotesi di utilizzare le nuove tecnologie era già stata presa in considerazione dal gruppo Benetton e da Oliviero Toscani, il quale aveva incaricato il publisher il COLORS, il Sig. Kurt Hildemberg della Mondadori New Media, di occuparsi in questi ultimi mesi della creazione di COLORS multimediale.
In un recente incontro, nel quale abbiamo discusso della mia proposta operativa e ci siamo soffermati a considerare il problema dei tempi di fruizione, egli stesso mi ha detto di avere interpellato una società tedesca che avrebbe prodotto una versione sperimentale on-line del numero 13 di COLORS per la quale il tempo di attesa di un utente medio con modem a 14400 era di circa un'ora e un quarto .
Fin'ora per attesa si intendeva il tempo di un spot pubblicitario, dal minuto ai cinque minuti, e certamente un tempo di attesa che si aggira sui sessanta- settanta minuti è impensabile anche per un utente che consulta le pagine di Internet senza avere la grande limitazione, tutta italiana, della tariffa urbana a tempo.

 L'attenzione sociale non è illimitata: la si può stimolare e si può cercare di mantenerla sveglia il più estesamente possibile, ma non si può espanderla oltre un certo limite.
Quando il limite di attenzione viene raggiunto l'informazione diviene indistinguibile e l'organismo cosciente entra in uno stato di disattenzione, di passività o di vera e propria abulia.
Possiamo aumentare il tempo di esposizione dell'organismo alle informazioni, ma l'esperienza non può essere intensificata oltre un certo limite.
Oltre un certo limite l'accelerazione dell'esperienza provoca una disminuita coscienza degli stimoli, e una perdita d'intensità che interessa la sfera dell'estetica, ma anche la sfera dell'etica.

 3.1.5. La progettazione di interfacce

 La programmazione di interfacce è il momento centrale di un lavoro di "immaginazione" che incorpora sia gli aspetti tecnici che quelli sociali;
L'interfaccia infatti è un dispositivo che permette la comunicazione tra due sistemi informatici distinti, oppure tra un sistema informatico- meccanico e un sistema bio-intelligente, com'è l'essere umano.
L'interfaccia uomo-macchina designa l'insieme dei programmi e degli apparati materiali che permettono la comunicazione tra un sistema informatico e i suoi utenti umani.
L'ingegnere e il sociologo non possono separare i loro saperi, se non vogliono agire il primo come un cieco e il secondo come un paralitico.
Cieco il primo, perché non riesce a vedere gli effetti e le interazioni prodotte dalla sua creazione tecnica, paralitico il secondo, perché incapace di tradurre le sue immaginazioni sociali in dispositivi tecnici funzionali.
Dopo aver sviluppato alcune soluzioni di interfaccia con l'utente, più o meno intuitive, adeguate, negli ultimi anni ci si pone un nuovo problema. Bruce Tognazzini, sviluppatore di Apple Computer e fondatore nel 1985 del Apple's Human Interface Group afferma:

 "the interface I designed for Apple has become an obstacle to the next stage of the computer revolution".

 Nell'intervista realizzata da David Weinberger emerge l'esigenza di staccarsi dalle metafore utilizzate fino ad ora per creare degli strumenti tecnologici.
Bruce Tognazzini, in modo a mio parere coraggioso, propone di sovvertire alla base le caratteristiche che fin dal principio hanno costituito i presupposi di "mouse" e "icone".
Siamo talmente abituati a dare per scontato che il mouse si muova nello spazio in base alle direzioni su e giù, destra e sinistra che questi parametri stanno diventando limitazioni rispetto alle reali possibilità del mezzo.

 "...for example, you could easily make a mouse sensitive to hox hard it is being pressed into the mousepad...".

Un altro importante contributo su questo fronte ci viene da Brian Moriarty intervenuto a Imagina 96 .
Nel suo contributo mette in evidenza come non sia affatto assodata la convenienza nell'utilizzo della metafora spaziale all'interno di prodotti che si basano sulle nuove tecnologie. L'unico beneficio che se ne può trarre, egli dice, è forse che si tratta di una metafora familiare all'utente, ma questo non implica la sua bontà.

 "Moving your presence from place to place by crossing the space in between and avoiding obstacles may be realistic, but it is not convenient. Having to wait while you move from place to place may be lifelike, but it is not convenient. These constraints are necessaty if the goal is a facsimile of reality, such as a flight simulation. Unfortunately, most online services are adopting familiar, spatial reality as the metaphor of all virtual presence."

"I nostri clienti - continua - potrebbero essere felici di abbracciare altre metafore, migliori e più appropriate per la navigazione, se solo noi fossimo in grado di proporgliele.
Ciò che dobbiamo fare è chiedere a noi stessi come possiamo pretendere che la realtà virtuale ci trasporti in una dimensione davvero congeniale per le nostre esigenze, come possiamo costruire un ambiente che risponda ai nostri bisogni.
In pratica stiamo parlando di una qualità della presenza virtuale alla quale fin'ora non si è accennato.
Considerare la capacità/abilità di essere contemporaneamente in qualsiasi luogo, in modo plausibile può costituire la giusta direzione dalla quale partire.
Lo spazio e il tempo sono concetti che nella presenza virtuale non esistevano fino a che noi non l'abbiamo introdotta, è perciò un nostro obiettivo riconsiderarne la validità.
Il nostro obiettivo non è la realtà virtuale ma l'ubiquità virtuale."

 Sempre di ubiquità parla Sidney Head in World Broadcasting System .
Egli afferma che il broadcast è ubiquo, dandocene una definizione molto persuasiva.
Le trasmissioni di massa si diffondono ovunque, a buon mercato; sono immediate e continue, sempre disponibili.
Sono voraci: uno stomaco senza fondo che i programmatori, e sempre di più i creativi, devono riempire.
Sono flessibili: una trasmissione locale può diventare nazionale con la semplice pressione di un interruttore.
Sono volontarie: il pubblico deve decidere di sintonizzarsi e di investire denaro in una parte del sistema, il ricevitore.
Sono potenzialmente uno strumento di controllo: i governi avvertono il potere del mezzo.
Sono, quindi, regolamentate.
Secondo il Media Lab , il broadcast non ha ancora sufficienti possibilità interattive.

"E' come un tram: o sei a bordo o no, puoi scegliere la fermata (canale, stazione) e basta. Perché non è possibile guidarlo come un'automobile, andando dove ti pare? La continuità è pure un problema: bisogna attenersi all'orario dei tram. E la regolamentazione può essere un azzardo per gli innovatori: il governo di solito non tollera che qualcuno pasticci con i tram."

 3.1.6. Nuovi spazi antropologici

Siamo abituati a definire le situazioni generamente nei termini di comportamenti in luoghi fisici, ma l'esperienza quotidiana ci insegna che i media elettronici superano i limiti e le definizioni delle situazioni sostenute da ambienti fisici.
Stiamo inoltre assistendo alla formazione di un nuovo spazio antropologico che senza superare, abolire o cancellare gli spazi antropologici precedenti, li reintegra in un funzionamento nuovo del quale dobbiamo ancora esplorare le possibilità.
Si tratta dello spazio del sapere che ricodifica i prodotti e reintegra l'universo sociale già costituito:

"la novità, in questo campo, ha perlomeno tre aspetti: ha a che fare con la velocità di evoluzione dei saperi, la massa di persone chiamate ad apprendere e a produrre delle nuove conoscenze, infine ha a che fare con l'apparizione di nuovi strumenti (quelli del ciberspazio) capaci di far intravvedere, sotto la nebbia informazionale, dei paesaggi inediti e distinti, delle identità singolari, proprie a questo spazio, delle nuove figure socio- storiche"

In questo nuovo spazio nasce la nozione di intelligenza collettiva.
Ma ciò che rende possibile l'esercizio collettivo dell'intelligenza è l'esistenza di una tecnologia capace di realizzare un'estroversione della potenza intellettiva dell'uomo, e il coordinamento delle facoltà di elaborazione di agenti cognitivi diversi.
Il meccanismo attraverso il quale i media elettronici influiscono sul comportamento sociale non è un misterioso equilibrio sensoriale, ma una ben riconoscibile ristrutturazione dei palcoscenici sociali sui quali interpretiamo i nostri ruoli e, di conseguenza, il cambiamento della nostra concezione di "comportamento appropriato".

3.1.7. Perché si parla di seconda oralità.

 Uno dei mutamenti che i computer presumibilmente causeranno è il declino dei testi canonici prodotti in copie identiche .
Questo mutamento significherà in qualche modo il ritorno allo stile del manoscritto, o addirittura alle modalità del discorso orale.

 "Come la scrittura aveva trasferito la parola orale originaria, parlata, in uno spazio visivo, la stampa radicò la parola nello spazio in modo ancora più definitivo."

E' importante osservare come la stampa colloca inesorabilmente le parole nello spazio, più di quanto la scrittura non abbia mai fatto; quest'ultima infatti trasferisce solo le parole dal mondo del suono a quelllo dello spazio visivo, mentre la prima le fissa all'interno di questo spazio.
Nella stampa il controllo della posizione è tutto: "comporre" il carattere manualmente significa collocare a mano dei caratteri già predisposti, i quali sono poi accuratamente rimessi a posto nei loro scompartimenti mentre comporre su terminale o su word-processor significa collocare nel computer modelli elettronici (lettere) precedentemente programmati.
La trasformazione elettronica dell'espressione verbale che avviene con l'utilizzo di tecnologie digitali accresce quel coinvolgimento della parola nello spazio che era iniziato con la scrittura, e crea contemporaneamente una nuova cultura, dominata dall'oralità secondaria.
Questa nuova oralità ha sorprendenti somiglianze con quella più antica per la sua mistica partecipatoria, per il senso della comunità, per la concentrazione sul momento presente e persino per l'utilizzazione delle formula. Inoltre l'oralità secondaria genera un senso di appartenenza a gruppi incommersurabilmente più ampi di quelli delle culture ad oralità primaria, genera cioè il "villaggio universale" di cui parla Mc Luhan.

3.1.8. Caratteri essenziali della gestione ipertestuale dell'infomazione.

 Da quando molti dei sistemi di comunicazione attuali hanno incluso la possibilità di lavorare con la grafica e molti altri strumenti, alcune persone preferiscono utilizzare il termine `ipermedia' per sottolineare gli aspetti multimediali di questi sistemi.
Personalmente vorrei continuare ad utilizzare il termine tradizionale `ipertesto' per tutti i sistemi perché non mi sembra vi sia nessuna ragione per riservare un termine speciale per i sistemi a solo testo.
In ogni caso utilizzo i due termini ipertesto e ipermedia indifferentemente con una preferenza per il termine `ipertesto' nel senso che l'ipertesto è comunque una tecnica naturale per supportare interfacce multimediali in quanto è basato sul collegamento reciproco di nodi che contengono o che fanno uso di diversi media.
L'ipertesto presenta molteplici opzioni al lettore, e il lettore individualmente decide quali opzioni scegliere.
Questo significa che l'autore del testo organizza una serie di letture alternative che lascia esplorare al lettore.
L'ipertesto consiste in una serie di brani di testi `interlinked', collegati tra loro. Ogni unità informativa è chiamata nodo.
Ogni nodo è collegato ad altri nodi, questo collegamenti vengono chiamati link.
Il numero di links presenti in un testo è normalmente non definito a priori ma dipenderà dall'argomento di ogni nodo e dalla sua capacità di essere relazionato ad altri.
Normalmente però ogni nodo è collegato ad un altro in maniera unilaterale ovvero, e questo spiega il motivo per cui il nodo di partenza viene chiamato `anchor node' e quello di arrivo `destination node', non esiste alcun collegamento che implica un obbligatorio collegamento di ritorno.
In generale è impossibile creare un indice nel quale viene rappresentato linearmente l'intero ipertesto e non si usa rappresentare questo tipo di produzione se non in una mappa grafica nel quale la metafora spaziale viene utilizzata come supporto per rendere l'idea di come si possa accedere ad una informazione, per non rischiare di perdersi nel labirinto ipertestuale.

 Esistono dei meccanismi per aiutare il lettore nella navigazione e che non corrispondono ai tradizionali strumenti di navigazione.
Sono i "visited links" che avvertono il lettore che alcune sezioni di informazioni sono già state consultate.
Per fare questo il programmatore HTML, ovvero colui che converte un testo in linguaggio ipertestuale, si serve dei colori. I links già visitati avranno un colore diverso da quelli sui quali il lettore non si è ancora imbattuto.
Il sistema è strutturato in modo da suggerire al lettore il successivo luogo a cui potrà accedere, ma non fornisce assolutamente nessun tipo di informazione su come tornare indietro per recuperare un altro percorso, fatta eccezione per "back" che è un vero e proprio strumento di navigazione tradizionale che però non permette di sapere quali percorsi alternativi si sarebbero potuti percorrere se si fosse optato per un' altra scelta.
Inoltre il sistema ipertestuale non si cura di dare alcun riferimento di dove ci si trovi in un determinato momento nè di come si possa uscire senza ripercorrere la strada a ritroso o uscire dal programma definitivamente

 Per rappresentare quindi in modo cartaceo HOTCOLORS ho deciso di illustrare un solo possibile percorso, pur mostrando i "luoghi" verso cui è possibile compiere delle scelte, i link.
Il mio progetto infatti, non consiste nella progettazione dell'intero ipertesto che avrebbe comportato l'uso di una quantità di materiale troppo esteso e l'impiego di un periodo di tempo troppo lungo, ma un percorso che vuole essere emblematico e rappresentativo delle riflessioni condotte in questa ricerca, che vuole costituire un prototipo.
L'obiettivo è quello di illustrare in modo preciso e dettagliato l'esperienza di consultazione del CD-ROM attraverso una esemplificazione in qualche modo "pilotata" che ne metta in evidenza il più possibile le caratteristiche e le peculiarità.

 3.1.9. Come il database?

 Nel leggere queste pagine il lettore con esperienza nel campo computistico potrebbe aver pensato: "E' come un database!".
E' vero che l'ipertesto ha molte somiglianze con il concetto di database. Ma l'informazione ipertestuale non ha una definizione centrale e una struttura regolare.
Possiamo avere un ipertesto composto da diecimila nodi nel caso in cui avessimo un ipertesto per gli impiegati di una grossa compagnia.
In questo caso alcuni di questi nodi sarebbero molto estesi, con molte informazioni, e altri relativamente poco densi.
Alcuni impiegati potrebbero lavorare in un progetto comune con altre divisioni, e potrebbero in quel caso inserire links aggiuntivi dalla descrizione dei loro lavori per fornire ai loro colleghi le informazioni necessarie.
In generale, la struttura del network ipertestuale, è definita come l'unione e la messa in comune di decisioni locali create attraverso nodi e link individuali.
Ogni link è inserito perché ritrova un suo significato in termini semantici e non in base ad una decisione collettiva.
Questo significa che l'ipertesto possiede una grossa flessibilità, che normalmente costituisce un vantaggio ma che può anche essere uno svantaggio.
Inoltre si può dire che un database "tende a riassumere il contenuto di un certo numero di nodi/record, oppure a costruire una serie filtrata di nodi/record, in modo da soddisfare i vincoli insiti in un'interrogazione; al contrario, lo scopo di un sistema ipertestuale è quello di visualizzare un nodo, o di identificarlo in modo che esso possa venire visualizzato, piuttosto che fornire un rapporto riepilogativo su una determinata serie di nodi, anche se si possono ipotizzare situazioni per le quali tale possibilità aggiungerebbe valore ad un'applicazione ipertestuale" .
In generale è utile distinguere la struttura "rigida" del database rispetto a quella "aperta" del sistema ipertestuale.

 3.1.10. La fiducia nell'autore

 A io parere, la struttura ipertestuale di un prodotto della comunicazione presuppone una fruizione più cosciente da parte del pubblico, una fruizione che tenga conto dei parametri di scelta di link che vengono inseriti nella struttura.
Emerge quindi il tema della fiducia nello scrittore, nel senso chei l'inserimento di un link che va a collegarsi semanticamente con altri testi, o brani di testi, si è ricoperti di una responsabilità collettiva molto più grande rispetto alla responsabilità individuale dello scrivere un testo distaccato e indipendente.
Alcune persone credono che il fatto che occorra guidare e supportare il lettore nella navigazione sia una prova del fatto che la nozione di non -sequenzialità sia un fallimento, non sia poi così solida e naturale come i fautori di sistemi ipertestuali vogliono farci credere.
Se esiste la necessità di marcare graficamente un "bottone" e renderlo attraente più di un altro per indurre il lettore ad optare per quello piuttosto che per un altro o prima di un altro, che senso ha allora dare un'opzione?
La ragione è che ci sono diverse classi di lettori.
Alcuni di questi sono più esperti nel dominare l'informazione e hanno già sperimentato l'esperienza della navigazione alla ricerca di specifiche informazioni di loro interesse.
Alcuni altri hanno invece bisogno di rimanere ancorati alle indicazioni che lo scrittore dissemina nell'ipertesto, che risultano prezioni strumenti di orientamento.

 Un'altro tipo di "fiducia nell'autore" scaturisce dal fatto che sempre più spesso il pubblico di massa, poco esperto e in genere non in grado di valutare con precisione la validità dei prodotti che vengono immessi sul mercato, rischia di essere strumentalizzato e ingannato sull'onda dello sfruttamento di quella che a buon diritto potrebbe essere chiamata "la moda della multimedialità".
Anche se molti sistemi sono ipermediali e includono effetti multimediali, il fatto che un sistema sia basato su una struttura multimediale e comporti l'uso di molteplici media non lo rende un ipertesto; l'uso combinato di testo e grafica non è sufficiente in se stesso.
Molti sistemi multimediali sono basati sul concetto di mostrare svariati video ad un fruitore passivo che non sta navigando in uno spazio dove può richiedere o reperire informazioni.
Solo quando il fruitore prende il controllo, interagisce con un set di links dinamici all'interno di unità di informazione, si può parlare di "ambiente ipertestuale".
Dunque come dire che la differenza tra multimedia e ipermedia è simile a quella tra guardare un film che parla di viaggi e essere un turista attivo.
Ad esempio, un tipo di sistema multimediale che viene spesso confuso con l'ipermedia è il video interattivo.
E' certamente possibile utilizzare degli effetti video in un'interfaccia ipertestuale per renderlo più simile a un rapporto interattivo, ma molti cosiddetti sistemi di video interattivo non sono realmente o sufficientemente interattivi per essere classificati come ipermedia.
Nathan Myrhvold, vice presidente della Microsoft per le tecnologie avanzate, chiama il video-on-demand "il simbolo dell'interattività degli anni '90".
In realtà, il video-on-demand permette al fruitore di visionare un film a sua scelta ma limita la sua esperienza alla stessa, lineare fruizione che caratterizza la produzione cinematografica tradizionale.
La novità del sistema interattivo consiste in una estensione delle reali capacità del fruitore, della possibilità di agire su un prodotto modificandolo a propria scelta.

 In questo contesto le finalità a cui dovranno tendere autore e editori del prossimo secolo sono costituite dall'invenzione di nuove strutture discorsive, dalla scoperta di retoriche ancora sconosciute, del testo a geometria variabile e dell'immagine animata, concepire delle ideaografie in cui il colore, il suono ed il movimento si associeranno per significare.

Rispetto alla questione dell'interattività, in HOTCOLORS ho creduto importante fare una scelta precisa.
In primo luogo è opportuno tracciare una linea di confine tra i vari gradi di interattività che è possibile sviluppare all'interno di un prodotto multimediale.
Si tratta a mio parere di operare una scelta sulla misura di interattività che si vuole "concedere" al fruitore del prodotto.
Possiamo chiamare "interattività ridotta", un tipo di partecipazione dell'utenza che si limita alla navigazione ipertestuale, che comprende una serie di scelte, opzioni e variabili.
Per "interattività ampia", intendo invece l'espansione delle possibilità che vengono offerte al fruitore di intervenire sul prodotto con un maggior numero di strumenti e con una relativa aumentata capacità di adattare il prodotto alla propria volontà e ai propri gusti.
Anche il mercato offre a questo scopo due tipi di supporti differenti: il CD-ROM e il CD-I (CD interattivo) che offre una serie di strumenti in più, come il joystick, la possibilità di utilizzare "menù", che favoriscono l'intuitività dell'interazione.

 La scelta da me compiuta consiste nell'implementare un tipo di interattività ridotta;
il progetto propone infatti al lettore la possibilità di navigare nel percorso ipertestuale e di imbattersi in opzioni connesse al tipo di percorso scelto ma questo comporta serie di opzioni di lettura del materiale e non la possibilità di operare attivamente sul materiale proposto.
Questa scelta, come quella relativa al ruolo che il testo avrebbe dovuto avere in HOTCOLORS, è dettata in primo luogo dalla necessità di dimostrare quali sono le reali possibilità del nuovo mezzo, senza svilire in qualche modo il confronto che voglio porre.
Si tratta quindi di essere coerente nella scelta degli strumenti e di non utilizzare mezzi come l'interattività ampia, che renderebbero HOTCOLORS un prodotto con finalità esclusivamente di gioco o di svago.
La tesi che voglio dimostrare invece è come le stesse finalità e obiettivi di COLORS cartaceo possano essere raggiunte in modo qualitativamente più elevato da un mezzo che offre delle possibilità in più al lettore senza privarlo dei benefici che gli concede il vecchio medium .

 3.1.11. L'uso delle immagini nei prodotti multimediali, identità e differenze.

 Il trattamento di immagini digitali, il cui uso si è diffuso notevolmente con la nascita e la produzione di applicazioni multimediali, richiede metodi e strumenti appositamente progettati.
La struttura generale di un sistema per l'elaborazione numerica delle immagini si compone di diverse parti: acquisizione, conversione analogico-digitale, elaborazione, conversione numerico-analogica e visualizzazione.
Può essere interessante osservare più da vicino ogni fase di questa conversione dell'immagine, per renderci conto di come l'utilizzo di un mezzo informatico presenti dei problemi tecnici che si riflettono molto bene nei problemi teorici di fruizione che abbiamo analizzato.

 Per acquisizione digitale si intende il processo che a partire da un'immagine analogica produce una sua rappresentazione digitale.
Essa comporta due tipi di approssimazione.
Una prima, detta campionamento spaziale, riduce un'immagine analogica, costituita da un numero teoricamente infinito di punti, in una matrice bidimensionale con un numero prestabilito di righe e di colonne.
La seconda approssimazione, detta quantizzazione, traduce in una rappresentazione numerica i valori di luminosità e colore di ciascun punto della matrice.
Poichè nell'immagine analogica i colori e i valori di luminosità possono essere virtualmente infiniti, mentre le rappresentazione numeriche nella macchina hanno precisione limitata, è inevitabile una certa approssimazione nella loro codifica.
Al di là delle implicazioni tecniche dell'infinitezza dei colori che è possibile rappresentare in un prodotto multimediale appare chiaro come possa cambiare il tipo di fruizione, rispetto alla seppur alta qualità dell'immagine su carta patinata che rimane però limitata dalla rappresentazione numerica del colore.
Forse è il caso di affermare che si tratta di una questione ancora difficile da analizzare, visto che la fruizione dei prodotti multimediali rimane ancora legata a dei presupposti tradizionali e a delle abitudini talmente radicate da costituire la norma.

L'uso dell'immagine in un prodotto multimediale comporta una fruizione molto diversa da quella che avverrebbe sul mezzo cartaceo.
Se è vero che l'immagine era sempre stata ancorata solidamente alla struttura narrativa di un discorso e quasi mai si può affermare che l'immagine abbia esclusivamente funzione estetica o ornamentale, oggi la sua funzione attiva viene potenziata, è possibile, abolire completamente il testo scritto e lasciare che la 'storia' venga raccontata da suoni, immagini e colori.
E' quello che si tenta di fare quando si usa la metafora della luce, ad esempio, per indirizzare la navigazione on-line: il fruitore si orienta in base a diversi strumenti messi a sua disposizione, che sempre più spesso sono di natura iconica, come candele, lampade, lampadari, torce a seconda che si tratti di percorsi principali, luoghi di informazione o centri di incontro e sempre meno hanno le caratteristiche di help on line o guida per l'utenza.
La più semplice interpretazione dei collegamenti ipertestuali è legata al loro uso in termini di relazioni di similitudine o, nel caso di parole, in termini di sinonimia.
Herrmann (1987) ha preso in esame la letteratura che tratta del concetto di sinonimia e ha affermato che l'esistenza di sinonimia tra le parole è molto simile al processo di comprensione di altre relazioni di tipo semantico.
Il suggerimento implicito di altri termini di una serie di sinonimi è di particolare interesse nel campo della realtà ipertestuale; nelle situazioni di richiamo di memoria, questo suggerimento prepara l'ascoltatore o il lettore a ricevere alti termini prelevati dalla stessa serie e a "processarli" più rapidamente.
In fase di lettura di un ipertesto, il suggerimento di altri termini potrà creare percorsi apparenti che attraversano le informazioni in modo tale che venga ritenuto simile o rilevante un secondo concetto che, inizialmente, non appariva particolarmente connesso al concetto di partenza.

Secondo Waterworth l'ingegnerizzazione dell'ipermedialità (il processo di creazione e uso del sistema ipertestuale) si identifica con un processo di ingegnerizzazione della conoscenza dove visualizzazione e assimilazione della conoscenza stessa rivestono maggiore importanza rispetto ad interferenza e deduzione.
L'approccio di ingegnerizzazione della conoscenza va ad ampliare i metodi per la creazione di sistemi ipermediali; lo sviluppo di questi ultimi viene visto come un qualcosa che comporta due compiti principali:
-identificazione o costruzione dei nodi
-collegamento dei nodi
L'obiettivo è quello di creare strutture ipertestuali che comportino la fruizione di una conoscenza non statica e compilata, o di informazioni non semplicemente da scorrere senza avere in mente un particolare tema o compito da eseguire.
L'ipermedialità richiede un nuovo tipo di processo di ingegnerizzazione della conoscenza che estende quello utilizzato in fase di realizzazione di sistemi esperti e che comporta:
-identificazione
-definizione
-strutturazione
-rappresentazione
-utilizzo
-validazione, perfezionamento, manutenzione della conoscenza.

 In termini pratici ciò si traduce con l'operazione di raccolta del materiale che verrà utilizzato nel sistema e in fase di creazione del materiale che si renderà necessario.
La strutturazione della conoscenza consiste nella segmentazione delle informazioni in nodi, nell'assegnazione agli stessi di nomi e nella loro organizzazione in una struttura gerarchica, se necessaria.
La rappresentazione della conoscenza consiste nel descrivere nodi in termini di caratteristiche (rimandi) ad essi associate, nello sviluppare i nodi sotto forma di strutture e nel collegare i nodi in base a determinate relazioni semantiche considerate di importanza rilevante.
In linea generale, si parte dal presupposto che le relazioni semantiche dovrebbero essere quelle più utili per l'utente; è anche possibile definire relazioni di tipo sintattico.
Lo scopo dell'ingegnerizzazione della conoscenza per i sistemi ipermediali è, di norma, quello di aggiungere valore a un'informazione già esistente, strutturandola in una forma che faciliti il processo di esplorazione dell'informazione stessa.

3.1.12. La tecnologia del CD-ROM

 L'annuncio dello standard Compact Disc Read Only Memory è di qualche anno posteriore a quello del CD-DA (Compact Disc-Digital Audio); gli autori sono gli stessi, Philips e Sony, e le specifiche sono raccolte in un manuale che ancora oggi viene indicato con il nome di 'Yellow Book'.
L'obiettivo era utilizzare lo stesso standard del CD-DA per memorizzare non solo musica, ma qualsiasi tipo di dato.
La struttura fisica del disco rimane identica: dal modo di registrare zero e uno, fino al numero di settori per disco.
Per il CD-DA il tasso di errore ammesso è di un bit errato ogni cento milioni; nell'ascolto di un brano musicale questo passa assolutamente inosservato. In un sistema di elaborazione anche un solo bit errato può costituire una bella differenza.
Per questo motivo nel CD-ROM una parte dei byte di ciascun settore deve essere utilizzata per una codifica che permetta di identificare e correggere automaticamente gli errori, seppure al costo di una certa ridondanza dei dati e quindi di una diminuita capacità del disco.
Lo standard prevede quindi che dei 2352 bite per settore del CD-DA 304 siano utilizzati per il sistema di correzione degli errori e quindi ne rimangano 2048 utilizzabili. In questo modo il tasso di errore migliora drasticamente fino a un bit errato ogni 1000 miliardi, praticamente un bit errato ogni duecento CD-ROM.
La capacità totale scende dai 776 MByte del CD-DA a 660 MByte.

I reali motivi per cui esiste tutto questo interesse intorno alle tecnologie ipertestuali, anche se il concetto di ipertesto può farsi risalire al 1945 , è dato dal fatto che, oltre a notevoli vantaggi economici e di gestione dell'informazione, oggi i sistemi ipertestuali possono essere implementati con tecnologie usate commercialmente e su macchine alla portata di una fascia di utenza molto più allargata.

Nel caso specifico non ho scelto il CD-ROM in quanto supporto che mi garantisse una certa capacità di immagazzinamento di dati o di memoria , bensì ho ritenuto che fosse il più adeguato mezzo di comunicazione per il tipo di operazione che volevo compiere.